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Benvenuti nella sezione delle INTERVISTE de LaSalsaVive!

Qui troverete le interviste raccolte nel tempo dai nostri utenti; potrete vivere in prima persona le risposte degli artisti che hanno fatto la storia della salsa.

Insomma…BUON DIVERTIMENTO!

Sabor y Control

Intervista a Sabor y Control

Intervista a cura di Tommy Salsero e Max Chevere


Sabor y Control

Lima 06 Luglio 2007

Come e quando è nato il progetto Sabor y Control?

E’ nato nel 2001 con descargas e latin jazz. Il formato originale era senza piano, solo con il basso.Si dava molta importanza alle percussioni, alla sezione fiati e agli assoli di ogni strumento.

Sabor y Control è un’orchestra con un “sabor” molto classico, con similitudini alla salsa degli anni ’70, quando si suonava per il gusto di farlo e non per i ballerini come fanno molti gruppi di salsa oggi.Com’è nata questa idea di suonare con lo stile del barrio?

La nostra influenza viene dalla musica degli anni ’70 ed è per questo che cerchiamo di conservarne l’essenza. Secondo noi nel decennio degli anni ’70 è stata prodotta la miglior salsa.
Nel nostro disco “El guapo soy yo” tutte le registrazioni sono state realizzate in blocco, ovvero suonando tutti insieme, esattamente nello stesso modo in cui si registrava negli anni settanta.

In Italia ci sono molti appassionati che vorrebbero poter ascoltare e ballare questa salsa. Sono passati quasi quattro anni da quando abbiamo inaugurato il sito web de LaSalsaVive.org e da allora molte cose sono cambiate in meglio. Adesso anche in Italia ci sono molte persone che ricercano questa musica senza “compromessi”, la musica che noi abbiamo voluto ribattezzare “salsa cazzuta”.
Cosa ne pensate di questa nuova rinascita ed in Perù qual è la situazione?

Effettivamente la nostra è una musica “senza compromessi”. Ci preoccupiamo molto del fatto che gli ascoltatori possano viverla al 100%. Non abbiamo voluto inserirci in una posizione prestabilita, infatti la nostra musica si presta ad essere interpretata in maniera molto personale, la stessa cosa accade quando la si deve ballare, non è “salsa monga” (ndr scialba, piatta) dove ci sono dei pasitos prestabiliti.
Anche in Perù ci sono appassionati di salsa dura. Fortunatamente i programmi specializzati l’hanno accolta molto bene. Sfortunatamente come in tutto il mondo, anche in Perù c’è molta “salsa monga” però al tempo stesso c’è un gruppo di salseri “veri” che ogni giorno cresce e che si identifica con la musica di Sabor y Control.

Ci sono altri gruppi in Perù che suonano salsa dura?

In Perù non esiste nessun gruppo che suona salsa dura propria. Esistono orchestre che fanno cover, cioè orchestre che interpretano la musica di altri musicisti, però senza suonare nulla di proprio.

Quali sono i musicisti che vi piacciono di più e che hanno influenzato maggiormente il vostro stile musicale?

Ci piace molto la musica degli anni ’70. Siamo stati influenzati principalmente da: Impacto Crea, Eddie Palmieri, Willie Colón, Orquesta Zodiac.

 

SABOR y CONTROL – No lo hago mas

 

Qual è per voi la differenza tra la salsa di ieri e quella di oggi?

La salsa di ieri era quella del barrio, parlava di temi quotidiani. La salsa di oggi è legata a temi romantico-amorosi. Al di là della musica, la salsa di ieri era più agguerrita, non era così “protetta” come quella di adesso. In Sabor y Control cerchiamo di conservare l’essenza della vera salsa per quel che riguarda i testi mentre diamo il 100% di noi stessi alla musica dando grande importanza all’improvvisazione e agli assoli di ogni strumento. Sentiamo molto quel che facciamo.

 

SABOR y CONTROL – La cosa no sigue más

 

La salsa romantica prima e la salsa con pop e reggaeton adesso, sono state utili allo sviluppo del movimento salsero?

Forse può rappresentare un’esca per chi non ha mai ascoltato salsa dura. Però siamo convinti che le persone che vogliono divertirsi davvero quando iniziano ad ascoltare salsa dura non la lasciano più. Dal punto di vista dell’apporto al genere musicale non crediamo che questi incroci apportino molto alla salsa.

Pensate che il reggaeton possa convivere insieme alla salsa o che la salsa con reggaeton rappresenti la fine di questa musica?

Rispettiamo molto chi fa reggaeton e anche chi lo ascolta. Però non crediamo che si debbano mischiare per farne un ibrido. A nostro parere ogni genere deve differenziarsi e andare per conto suo.

Che cosa pensate della nuova musica popolare cubana chiamata timba?

In Perù ha avuto successo, ma attualmente praticamente non la si ascolta più. Rispettiamo anche chi fa e ascolta questa musica, però il fatto che, almeno in Perù, sia quasi scomparsa ci fa riflettere, perchè generalmente si dice che quel che è realmente valido non finisce mai.

Qual è la differenza fra la timba e la musica che voi suonate?

Sabor y Control – Piensa con clarida’

La tematica è molto diversa perchè, come abbiamo già detto, la salsa dura parla di fatti di vita quotidiana, invece la timba no. La struttura musicale della timba da maggior importanza ai cori ripetitivi e alle coreografie in serie. La salsa dura invece viene apprezzata da chi la ascolta senza bisogno di essere ripetitiva. Una gran differenza è nel sentimento nel momento di suonare e anche quel che l’ascoltatore prova senza avere parametri stabiliti. Un’altra differenza è legata alla carenza di descargas nella timba, in pratica non ci sono quasi assoli strumentali.

Potete parlarci del vostro nuovo cd “El Guapo soy yo”? “El Guapo soy yo” è stato registrato alla fine del 2006, la registrazione è stata fatta matenendo lo stile della salsa degli anni settanta, in pratica abbiamo registrato in blocco, suonando tutti insieme.
Tutte le canzoni sono nostre e come vi rendarete conto ascoltandolo è legato a temi quotidiani.
Questa produzione ha ricevuto un gran numero di critiche positive da parte dei mezzi di comunicazione specializzati, così come numerose recensioni in pagine web nazionali e internazionali.
A Lima abbiamo avuto il piacere di chiudere la stagione 2006 di un programma molto prestigioso chiamato JAMMIN’ con la presentazione del nostro disco.

 

SABOR y CONTROL – El niche del callejón

Avete mai suonato in Europa? E vi piacerebbe suonare in Italia?

Abbiamo avuto diversi contatti tramite internet con molte persone in Europa che hanno manifestato il loro interesse per il nostro lavoro. Ci piacerebbe moltissimo poter suonare per voi e condividere quello che facciamo con immenso piacere. Siamo coscienti che in Italia ci sono ballerini di salsa molto competenti e ci farebbe un grande piacere suonare per loro.

Nel nostro sito ci sono molti fan’s di Ray Perez, un pianista venezuelano che sul finire degli anni sessanta suonava con la Orchestra dei Los Dementes, lo conoscete e avete mai suonato sue canzoni?

Naturalmente conosciamo Ray Pérez, lui con l’Orchestra dei Los Dementes rappresenta uno dei maggiori esponenti di salsa di qualità. Non abbiamo mai suonato sue canzoni ma crediamo che lo faremo prossimamente visto che la sua musica ci piace molto.

Progetti per il futuro?

Abbiamo suonato molto a Lima e siamo molto contenti perchè ogni giorno riceviamo tante email con buoni commenti e di sostegno per il nostro lavoro. Questi complimenti non arrivano solo dal Perù ma anche da altri paesi d’America, Europa e Asia. Ci piacerebbe molto poter concretizzare un tour per l’Europa, specialmente in Italia, dato che sappiamo che c’è un buon pubblico di salseri. Finalmente vorremmo ringraziare Max per la sua onda positiva e per la promozione e divulgazione della buona musica in Italia. Un saluto a tutti i salseri e speriamo di vedervi presto.

Daria intervista Pietro Mingarelli

Intervista a cura di Daria Mingarelli


Pietro Mingarelli

Pietro Mingarelli

Torino 14 Gennaio 2007

Daria: ”Che strano essere l’uno di fronte all’altra in questa veste, specialmente se penso che sei ore fa mentre facevamo le prove eri il mio ballerino, due ore fa davanti al commercialista il mio socio in affari, a pranzo lo zio delle mie figlie, ieri sera dopo i corsi,mentre ci confidavamo i fatti nostri, il mio miglior amico e ….forse sempre, in ogni momento… il bambino paffutello a cui dovevo dar la mano per attraversare la strada!
Caspita, se con questo non ottengo la lacrimuccia dei lettori non saprei come altro fare!!
Ok, ok, torniamo alla formalità necessaria.
Dando per scontata la conoscenza sulla tua formazione artistica e professionale passo alle domande che ritengo più interessante farti.
Come definisci lo stile di Salsa che balli?

Pietro: “Mambococolo”

Daria e Pietro Mingarelli, Torino 8 dicembre 2006

Daria: “Ti prego, non sprecare troppe parole !!!!”

Pietro: “Ok.”

Daria: “Daiiiii!!! Devi rispondere come se io non fossi io, come se parlassi con una persona che non ti conosce affatto. Quindi : cosa intendi per “Mambococolo”???”

Pietro: “Lo sai benissimo .”

Daria: “PIETROOO!!”

Pietro: “Si tratta del connubio, intersezione, sovrapposizione, chiamala come vuoi, tra il mambo tradizionale e lo stile della “calle”di Puerto Rico.
In breve, la parola mambo riguarda la tecnica e cioè il come muoversi, come mettere i piedi, come tenere la posizione, le direzioni, le linee ….eccetera la parola cocolo è l’essenza, l’imprescindibile, il succo del passo ….il debito verso il folclore …..si pensi ai “pasitos” ballati dai coristi e a volte da altri componenti delle orchestre ……per essere più chiari si pensi all’anno 1953 e al Combo di Cortijo, a Ismael Rivera cantando il Negro Bembon!!!
Potrei allora dire che mambo rappresenta la tecnica, cocolo la naturalezza, ma attenzione, la divisione è apparente e così pensata sarebbe fuorviante.
Non si comprende veramente ciò che dico se non si focalizza l’attenzione sul fatto che, per come la vedo io, Tecnica = Coordinazione e Coordinazione = Naturalezza …perciò se vogliamo credere alla validità della proprietà transitiva…la conclusione è ovvia …..

Daria: “…forse no….altrimenti non si sentirebbero tante discussioni e commenti inutili.
Non importa, non dilunghiamoci. Passo a un’altra domanda :
Quanto è importante la conoscenza musicale e quella storico musicale per un ballerino?”

Pietro: “Entrambe fondamentali. Mi rendo conto di diventare …come dici tu???….scomodo, impopolare . beh, ti devo dar ragione sul fatto che i più non amano essere messi davanti ai propri limiti, alle proprie mancanze, specialmente se non riescono a superarle …….. ma, diciamo la verità, se mi fosse interessato risultare simpatico avrei adottato un’altra politica tanti anni fa.
Non c’è compromesso in questo, non per me …per te! Se penso che c’è gente che pretende di fare questo mestiere e ha nozioni poverissime sugli argomenti in questione ….beh, la trovo una bella presa in giro ….nei confronti degli altri, ma soprattutto di se stessi”

Daria: “Condivido. Ma dimmi due parole sul perché queste conoscenze sono importanti.”

Pietro: “Si dovrebbe partire da una constatazione evidente: se prendi dischi degli anni ’60, trovi un nome preciso per identificare ogni canzone …..le stesse canzoni che oggi vengono chiamate allo stesso modo: salsa !!!!
Nei dischi in questione si legge : guaracha, son montuno, mambo jazz, guaguancò eccetera.
Certo, se prendi un cd di Jimmy Bosch la precisione della suddivisione rimane ……., ok, però è un cane che si morde la coda perché l’eredità avuta da Many Oquendo è tangibile.
Premesso che fondamentalmente la penso come te sull’arbitrarietà del nome, resto dell’ idea che sia (a dir poco) un grosso AIUTO per l’interpretazione non confondere, ad esempio, il guaguancò metropolitano di Ray Barretto (quando di guaguancò metropolitano si tratta) con il mambo. Ma non è solo questo……..…….mi spiace dirlo, ma escludendo rare eccezioni, l’unico aggettivo che mi sembra adeguato per la salsa moderna è “monotematica…monotimbrica”…scrivila un po’ come ti sembra meno urtante se ti fa piacere! Lo sai bene: per quel che riguarda la salsa classica riesco a riconoscere di che orchestra si tratta dal solo arrangiamento; ….certo uno come Hector Rivera quando indossa le vesti dell’arrangiatore è inconfondibile; e come non distinguere gli arrangiamenti di Larry Harlow da quelli di Willie Colon, o di Israel “Cachao” Lopez, o di Jorge Millet, o di Luis “Perico” Ortiz, o di …. ….

Daria: “Perfetto, va bene, credo che il concetto sia chiaro…”

Pietro: “Aspetta, non puoi non nominare Bobby Valentin, o un paroliere come Catalino “Tite” Curet Alonso e poi …”

Daria: “TI PREGOOOO!!!

Pietro: “Come vuoi ….comunque l’intervista è la mia …..precisa almeno che la lista è incompleta!!”

Daria: “Per carità ….diciamolo assolutamente!!!! …………………alcuni minuti di silenzio…………………….

Pietro: “Hai scritto che è incompleta??”

Daria: “Certo!!!! L’ho scritto in rosso e l’ho sottolineato. Stai tranquillo. Concentrati sulla prossima domanda : Cosa pensi di chi balla uno stile totalmente diverso dal tuo?”

Pietro: “Può piacermi tantissimo, come può dispiacermi !!! Dipende molto da chi lo balla!! In ogni caso, anche quando ho assistito a spettacoli bellissimi di stili diversi, non ho mai avuto cedimenti!! …nel senso che sono contento per gli artisti che ben si esprimono con gli stili più disparati ….e sono tanto contento per me che mi esprimo con il mio …che con gli anni si è evoluto, ha avuto diverse sfaccettature, che spero si evolverà ancora, ma che nelle “strutture portanti” si mantiene fedele a se stesso.
Comunque, per tornare a ciò che chiedevi, mi è capitato di vedere performance di Eddie Torres che mi hanno entusiasmato e vedere persone, presumo allievi degli allievi degli allievi che, pur dicendo di ballare lo stesso stile, non mi sono piaciuti affatto. Ma che vuol dire ?… ho allievi, alcuni anche molto conosciuti, che non mi piacciono neppure un po’ e altri che apprezzo. Ma ti senti bene? Che domande mi fai?!?”
Daria Mingarelli

Daria Mingarelli

Daria: “Mi sento benissimo ….è solo che ….meglio di no… rischio di diventare polemica”

Pietro: “In che senso?”

Daria: “Nel senso che provo una certa tenerezza ….no, bando alla diplomazia, provo una certa compassione verso chi ha spesso decontestualizzato le tue parole, o verso chi ha fatto, fa lezione con te ed è convinto di conoscerti, di capirti e ….UTILIZZA la tua vicinanza, la tua personalità, per fare di te e del tuo pensiero una falsa imitazione ….portando avanti un certo disprezzo per i non eletti, per chi non balla il loro stile …perché scusa, lo stile è il loro, non di certo il nostro!!! Estendo la compassione a chi usa le medesime cose per dare addosso senza ragione, senza sapere, senza averti mai visto, senza …un bel cavolo di niente. Se sapessero che un sacco di volte per giocare con la falsa apparenza ti ho definito “talebano”, quando a livello di chiusura mentale sugli argomenti lavorativi, tra noi due, il vero talebano sono io!!! Ma qui hai ragione tu : CHI SE NE FREGA!!??!! …..quando c’è la salute!!!

Pietro: “…..quando c’è la salute !!!!”

Daria: “Procediamo. Cosa pensi di chi balla sull’ uno? E non ridere, so che è una domanda ridicola”

Pietro: “La stessa cosa che penso di chi balla sul due, sul break, sul sei..
Credo che tanti ballino sull’uno perché è il primo numero!
Credo che tanti ballino sul due perché è quello che viene subito dopo il primo numero!
Credo insomma che ballino con un “sistema”; il succo è che per me non ballano ritmicamente. Discorso lungo che sicuramente viene spesso frainteso, anche se tanti fanno finta di aver capito….e dico far finta perché se non hai mai sperimentato “l’alternativa” al conteggio è impossibile comprendere…. Speriamo almeno sia chiaro che non sto dicendo che è sbagliato ballare su questo o quel tempo.
Cavolo, pensa che crisi esistenziale se potessero parlare quei matematici, alcuni dei quali illustrissimi, che dicono che i numeri non esistono!!!!!!

Daria e Pietro Mingarelli – Willie Rosario, Afro Cha – Joe Cuba, El Hueso

Daria: “Discorso lungo, bisognerebbe spiegare ……ora però non abbiamo tempo!!! Facciamo così: uno dei prossimi articoli della rubrica, magari uno di quelli di febbraio, lo scriveremo insieme, a quattro mani, proprio su questo argomento.”

Pietro: “A disposizione!”

Daria: “Ok!….. Conosco allievi che sono a dir poco intimoriti da te. Cosa ne pensi?”

Pietro: “…emmmm…..io da me stesso non lo sarei….”

Daria: “Cosa non sopporti in un ballerino? E in una ballerina?”

Pietro: “In una dama non sopporto l’ “inguidabilità”!!! Non amo le donne poco femminili, non amo le donne volgari, quelle che sono talmente impegnate nelle varie imitazioni da non lasciarsi portare in alcun modo. Nell’ uomo odio il “virtuosismo solista”, l’abuso di passi su momenti musicali totalmente inopportuni. Non sopporto l’uomo che non sa guidare e mette a disagio la dama. Odiosa la mancanza totale di contatto tra i due e non parlo di “SGUARDO”!!! Come dici tu,si tratta di aver quanto meno presente che ho una persona davanti e i miei movimenti, passi, figure non devono essere eseguiti come se fossi solo/a !!! Di entrambi trovo antipatico quando un atteggiamento, un modo di ballare diventa “ostentare”, “eccedere” ……e poi ci sono luoghi appropriati per fare gli spettacoli, il salone è un’altra cosa…per carità, ben venga il coinvolgimento, l’entusiasmo, la grinta…quando sono orientati alla propria coppia, a se stessi…..ma che tristezza quando gli occhi di chi sta ballando sono impegnati a controllare se li guardi oppure no…..tranquilli, se non sono troppo stanco guardo, guardo!! .
Daria Mingarelli

Daria e Pietro Mingarelli

Daria: “I tuoi cantanti o musicisti preferiti.”

Pietro: “Questa è la domanda più difficile . Se parliamo di Mambo, di timbalero : Tito Puente. Tra le orchestre …..durissima ….sicuramente una delle preferite è l’orchestra di Willie Rosario : che eclettismo, coprono un periodo che va dal ’70 al 2000. Come cantante, tra i soneros : Chamaco Ramirez. Per la varietà ritmica : Ray Barretto. Ancora tra i cantanti : Cheo Feliciano. Per i virtuosismi vocali : Andy Montañez.

Daria: “ A chi ti ispiri nel ballo e nell’insegnamento?”

Pietro: “A te.”

Daria: “Allora lo scrivo!!!!”

Pietro: “Devi ….l’intervista è la mia.”

Daria: “Se insisti ….comunque…. tra una serata in “salsoteca” 15 anni fa e una serata di oggi?”

Pietro: “Nessun dubbio : 15 anni fa….e per te?”

Daria: “Nessun dubbio : 15 anni fa… E a livello di forma professionale, fisica e artistica tra 15 anni fa ed oggi?”

Pietro: “Nessun dubbio : oggi….per te?

Daria: “Nessun dubbio : oggi…… Bene, ti ringrazio; sei stato carino…..”

Pietro: “A te . ……..ah, magari scrivi che io sono sempre carino!!”

Daria: “Certamente…..in rosso e sottolineato !”

Ringraziamo Daria e Pietro Mingarelli per averci concesso l’autorizzazione a pubblicare l’intervista.

Potete visitare il sito ufficiale presso www.dariaepietromingarelli.com

Intervista a Frankie Figueroa

di JUAN CARLOS ÁNGEL per la rivista Sonero de Barrio

Le interviste che ho realizzato, per me, sono state tutte molto soddisfacenti, alcune per il carisma degli artisti e altre per l’importanza del personaggio. Però intervistare quei musicisti e cantanti che attraverso il tempo si sono persi senza dare segnali, mi da ancora maggiori motivazioni. Ogni volta che ci troviamo a casa di collezionisti o in qualche bar e ascoltiamo le nostre canzoni preferite, ci domandiamo che ne sarà stato della vita di quell’artista; a volte non abbiamo una risposta chiara, il più delle volte si dice che probabilmente sarà già morto.

Per questo motivo ho iniziato a fare delle ricerche sui luoghi di ognuno dei nostri idoli salseri, alcuni già ritirati e altri ancora con la voglia di continuare a suonare. In questa occasione abbiamo invitato alla rivista “El Sonero del Barrio” Frankie Figueroa, meglio conosciuto come “Mr. Estilo”, originario della città di Guayama, che si trova nella costa sud di Portorico. Questa zona è conosciuta come il paese degli stregoni, a causa di un leggendario lanciatore di una squadra di baseball di Guayama soprannominato “Moncho el brujo”, terra dove era nato il compositore più prolifico della salsa: Tite Curet Alonso. Frankie Figueroa è un altro figlio del paese stregato, uno straordinario sonero che è riesce facilmente a interpretare tanto un bolero quanto un guaguanco o un son montuno. Ha fatto parte di orchestre di grande successo come quella di César Concepción, Jorge Ortega, Willie Rosario, Chucho Rodríguez, Memo Salamanca e Tito Puente fra le altre, lasciando il suo segno di grande qualità in ognuna di esse, così come nella sua orchestra. Vi invito pertanto a gustare la seguente intervista che ho realizzato con questo gran cantante.

D. Juan Carlos: Quali sono i nomi dei suoi genitori e cosa facevano nella vita?

R. Frankie: Mia madre si chiamava Vicenta López Villa ed era una casalinga, mio padre Félix Frank Figueroa lavorava come verniciatore e meccanico d’auto, oltre a impegnarsi in politica per molti anni a Portorico.

Frankie Figueroa. Foto: cortesia de Joe Quijano, Tito Puente, ROAST DVD
Frankie Figueroa. Foto: cortesia di Joe Quijano, Tito Puente, ROAST DVD

D. Può dirci il suo nome di battesimo, la data ed il luogo di nascita? E come furono i primi anni della sua infanzia?

R. Mi chiamo Félix Frank Figueroa: sono nato a Guayama, Portorico, il 27 gennaio del 1941; ho iniziato la scuola all’età di 7 anni; da bambino lavoravo vendendo giornali e frutta, ho anche pulito le scarpe; l’ho fatto solo per due anni, poi ho smesso perchè mi vergognavo quando mi vedevano le ragazze della scuola (ride). Ho cominciato con la musica suonando i barattoli di latta perchè non avevo soldi per comprarmi delle percussioni, mi ricordo che andavo nella cucina di mia madre a fare pratica con le percussioni e utilizzavo come tamburo la latta dove lei conservava il combustibile per accendere la stufa. Successivamente mi chiamarono a far parte della Banda Municipale di Guayama; il canto a quell’epoca non mi interessava più di tanto, cantavo solo nella scuola musica di Natale.
Entrai nella Banda suonando la batteria, quando iniziarono a dirmi come fare non fu necessario perchè io ero già capace di suonarla. Nessuno mi insegnò a suonare le percussioni perchè imparai a farlo ad orecchio ascoltando la radio. La prima orchestra che ascoltai fu quella di César Concepción, era la mia orchestra preferita e mai avrei pensato un giorno di entrarne a far parte; alla radio ascoltavo anche la musica di trii come Johnny Albino, il trio Los Panchos, Felipe Rodríguez, e grandi orchestre come quelle di Pérez Prado e Tito Puente.

L’orchestra di Cesar Concepcion
 

Frankie Figueroa

Terminati gli studi nel 1959 andai negli Stati Uniti e iniziai a suonare come percussionista con vari gruppi minori amatoriali e per un breve periodo nell’orchestra di Moncho Leña. Successivamente fui raccomandato da un mio grande amico pianista che era soprannominato “Macucho”, per suonare nell’orchestra di Paquito López Vidal, il compositore di Espérame en el cielo.
Ho lavorato per tre anni suonando le tumbadoras, il cantante di questa orchestra mi dava l’opportunità di cantare una canzone per ogni concerto.
A seguire ho lavorato per quasi due anni al Broadway Casino con l’orchestra di Carlos Pizarro; poi andammo al Caravana Club, che per quell’epoca era il miglior club di salsa e pachanga, e fu lì dove mi videro Willie Rosario e Bobby Valentín che era il trombettista della sua orchestra.

Loro mi sentirono cantare una delle canzoni che mi lasciavano cantare durante l’esibizione, un bolero chiamato Negrura che registrò Rolando Laserie; fu così che mi invitarono a far parte della loro nuova orchestra, la quale era stata modificata a seguito di un problema con il cantante Yayo el Indio, che l’orchestra di Willie accompagnava nel club Caborrojeño. Yayo ed il pianista Héctor Rivera rimasero con tutti i musicisti ad eccezione di Bobby Valentín.

Registrai il primo LP di Willie Rosario, come vocalista però non ero ancora il cantante della nuova orchestra; lui aveva l’intenzione di integrare Alfredo Vargas che era il cantante dell’orchestra più antica di Portorico, l’orchestra Happy Hills de San Germán, però a Willie non piaceva questo cantante e decise di scegliere me.

Con l’orchestra di Willie lavorai per due stagioni, dopo di che entrai a far parte dell’orchestra di César Concepción e viaggiammo a Portorico. Andai avanti per due anni con questa orchestra. Dopo andai in Messico dove firmai per la famosa etichetta discografica Musart, io sono stato il primo cantante portoricano a registrare per questa gloriosa compagnia messicana, ebbi il grande onore di registrare con grandi maestri come Memo Salamanca, Nacho Rosales e Bobby Ortega.

Bene, dopo queste esperienze in Messico mi chiamò da Panama il figlio di Miguelito Valdés “Mr. Babalú” detto “Chengue”, per lavorare in un programma televisivo che lui dirigeva per il canale TV2 nello show di Blanquita Amaro, che era una ballerina, cantante e attrice cubana.
Inizialmente il mio contratto con il canale era per dieci giorni ma rimasi per tre mesi.

Willie Rosario - El bravo soy yo
Willie Rosario - El bravo soy yo

D. Quali sono stati i cantanti che l’hanno influenzata maggiormente?

R. Indubbiamente Benny More, lui è stato il più grande, però ammiravo anche cantanti come Gilberto Monroy, Vitín Avilés, Ismael Rivera e Joseíto Mateo.

D. In quali altri programmi televisivi ha lavorato?

R. Ho lavorato a New York nello show di Gaspar Pumarejo. Poi con Myrta Silva (che diventerà la manager di Frankie) nel programma “Una hora contigo”, che lei presentava. Inoltre con Polito Vega in un programma che si chiamava “El show de la juventud”.

D. Con quali altre orchestre ha avuto esperienze come cantante e percussionista?

R. Dopo aver lavorato con l’orchestra di Willie Rosario e prima di entrare in quella di César Concepción ho lavorato con Kako, Rey Terrace, Héctor Rivera, Joe Cotto il cui cantante in quel periodo era Mon Rivera; ho lavorato anche con Johnny Pacheco, in sostituzione di Chivirico Dávila che cantava con Monguito el único; questi erano i cantanti di Johnny in quel periodo, io cantavo un po’ con tutti quelli che mi chiamavano anche se con nessuna di queste orchestre registrai dischi come cantante.

Frankie Figueroa con Rafael Cortijo e Ismael Rivera
Frankie Figueroa con Rafael Cortijo e Ismael Rivera

D. Con quali altre orchestre ha registrato?

Con Ray Terrace ho registrato suonando le congas e con Kako facendo i cori e come conguero. Nell’LP che contiene le canzoni “Las nenas del barrio”, “El jaleo”, “El bebé”, il cantante era Julián Llano, tremendo vocalista scomparso.

D. Cosa ci può raccontare del lavoro che registrò con Dave Montagne?

R. Guarda, io non mi ricordavo di quella registrazione, lui era un pianista e vibrafonista che mi vide cantare con Ray Terrace e mi invitò a registrare, però io non pensavo che l’avrebbe pubblicata, credevo fosse solo per un suo uso personale, non ho mai avuto l’opportunità di ascoltare quel disco.

Ti racconto un aneddoto: stavo registrando con l’orchestra di Pérez Prado che era in tour a Portorico, però non riuscii ad accompagnarli perchè avevo alcuni impegni con il mio lavoro come paramedico.

Dave Montagne
Dave Montagne

D Come arrivò all’orchestra di Tito Puente?

R. Dopo l’uscita di Santos Colón e Meñique, mi chiamò Charlie Palmieri ed io pensai che era per lavorare con lui, invece lui mi disse che era per l’orchestra di Tito Puente perchè i suoi due cantanti erano andati via. In quel periodo io lavoravo all’emergenza medica come paramedico, questa professione la iniziai studiando per conto mio e leggendo libri sul tema, poi per prendere il diploma presi delle lezioni in un ospedale di New York e al tempo stesso lavoravo con l’orchestra di Tito.

Lp di Frankie Figueroa
Lp di Frankie Figueroa

 

Lp di Tito Puente
Lp di Tito Puente

 

Lp Tito Puente
Lp Tito Puente

D. Quanti anni lavorò con l’orchestra di Tito Puente e quale fu il motivo della sua uscita?

R. Ho lavorato con Tito Puente per 23 anni, me ne andai nel 1990 quando il manager Ralph Mercado iniziò a lavorare con Tito. Ralph voleva darmi ordini e io non li accettavo nè da lui, nè da Tito, lui voleva farmi fare il corista nei concerti con Celia Cruz ed io gli dissi che non ero un corista, che Tito Puente mi aveva messo sotto contratto come cantante della sua orchestra, non come corista; gli dissi anche che facevo cori solo nelle registrazioni dei dischi, non nei concerti. Per questo motivo me ne andai definitivamente dalla sua orchestra e fu così che iniziai a lavorare con il mio gruppo.

Lp Tito Puente
Lp Tito Puente

D. Chi le diede il soprannome di Míster Estilo?

R. Fu Ulises Frenes, un attore di novelas e presentatore di un programma televisivo chiamato “El show del medio día” a Portorico, nel quale io mi esibivo tutti i giorni con l’orchestra di César Concepción; il nomignolo di “Míster Estilo” nacque per il fatto che quando io cantavo mi buttavo per terra e tiravo dei pugni quando le trombe iniziavano a suonare. Anche “Chori” Castro, che era un attore e cantante, mi diede il soprannome di “il pugile che canta”, però io non feci mai pugilato, lo praticavo solo per difesa personale, niente di più, però nel mondo musicale mi conoscono di più come “Míster Estilo”.

Frankie Figueroa fa la mossa del pugile
Frankie Figueroa fa la mossa del pugile.Foto:cortesia di Joe Quijano, Tito Puente, ROAST DVD

D. Quali altri strumenti suonava oltre le percussioni?

R. Bè, a quei tempi si ascoltava molto l’orchestra di Pérez Prado e mi piaceva molto come suonavano le trombe di questa eccellente band, e iniziai a fare pratica con la tromba, imparai a suonarla ad orecchio, come il flauto, però era solo per divertimento, non a livello professionale.

D. Secondo lei perchè la maggior parte delle orchestre e cantanti non registrano più il bolero? E cosa si potrebbe fare per far rinascere questo genere musicale?

R. Secondo me ormai nessuno registra più bolero perchè sanno che le radio non li trasmettono, dando la priorità ad altri generi come il reggaeton o la salsa romantica.

Per non far morire il bolero tutte le emittenti radiofoniche dovrebbero inserire nella loro programmazione uno spazio dedicato al bolero di almeno un’ora, questa potrebbe essere una soluzione per non far morire questo genere che io continuo ad interpretare con molta passione.

Lp Frankie Figueroa Lp Frankie Figueroa

Lp Frankie Figueroa
D. Fra tutte le orchestre di cui ha fatto parte, con quale si è sentito più a suo agio a interpretare bolero?

R. E’ stato con l’orchestra di César Concepción, perchè lui arrangiava i bolero con molta maestria, lui era un vero maestro ed un eccellente trombettista.

D. Fra i nuovi cantanti di salsa qual è quello che preferisce?

R. Io continuo a preferire i cantanti di un tempo che vanno avanti con la loro attività, fra i nuovi non c’è nessuno che mi interessi.

D. Che cosa ricorda dei suoi viaggi in Colombia?

R. Mi piace molto la Colombia, le sue donne, la cucina ed il tremendo pubblico salsero. Fra le città dove ho sentito maggiormente il calore e l’ammirazione del pubblico, mi ricordo in particolare di un concerto nel 1987 a Cali, con Ismael Rivera Jr., Orlando Watussi e Jr. González, questo concerto è stato uno dei più belli della mia carriera artistica.

D. Ci parli un po’ della sua famiglia.

R. Ho tredici figli, otto maschi e cinque femmine e tutti i maschi hanno il mio nome e quello di mio padre, tutti si chiamano Félix Frank Figueroa, ho quindici nipoti e vivo felice con la mia attuale moglie, lei si chiama Victoria José. Sono già in pensione e continuo a cantare perchè è la mia passione.

D. Come si chiama la sua attuale orchestra e che progetti ha per il futuro?

R. Ho due formati, la più grande si chiama Orquesta La Madre mentre il gruppo piccolo si chiama Son de Nariz, gli ho dato questo nome perchè alcuni musicisti della mia banda, capisci…(ride). Attualmente sto terminando di registrare un nuovo cd dove ho incluso alcune canzoni nuove come Pruebo e Vivito y coleando.

Español

ENTREVISTA CON FRANKIE FIGUEROA

Por JUAN CARLOS ÁNGEL                                                          PUBLICADA JUNIO 22. 2010

MÍSTER ESTILO

Las entrevistas que he realizado, para mí, todas han sido muy satisfactorias, unas por el carisma de algunos artistas y otras por la importancia de cada personaje. Pero entrevistar a aquellos músicos y cantantes que a través del tiempo se han perdido sin dejar señal, es aún más motivador. Siempre en algunas reuniones en casas de coleccionistas y en los bares cuando suena alguna canción de nuestra preferencia, nos preguntamos, qué hay de la vida del cantante que la interpreta; algunas veces no tenemos una respuesta clara de dicho personaje, lo más común que escuchamos decir de algún amigo es que posiblemente ya murió.

Pues me he dado a la tarea de investigar el paradero de cada uno de nuestros ídolos salseros, algunos ya retirados y otros aún con ganas de seguir trabajando. En esta oportunidad tenemos como invitado en El Sonero de Barrio a Frankie Figueroa, más conocido con el apelativo de “Míster Estilo”, oriundo de la ciudad de Guayama, localizada en la costa sur de Puerto Rico.  Se le conoce como el Pueblo de los brujos, por un legendario lanzador del equipo de béisbol de Guayama apodado “Moncho el brujo”, tierra donde nació el compositor más prolífico de la salsa Tite Curet Alonso. Frankie Figueroa es otro hijo del pueblo embrujado, no es para nada la excepción, un extraordinario sonero al que le es fácil interpretar tanto un bolero como un guaguancó o un son montuno; integró exitosas orquestas como la de César Concepción, Jorge Ortega, Willie Rosario, Chucho Rodríguez, Memo Salamanca y Tito Puente entre otras, dejando un nivel de calidad muy alto en cada una de ellas, tanto como en su propia orquesta. Los invito para que disfruten la siguiente entrevista que sostuve con este gran cantante

P. Juan Carlos. ¿Cuáles son los nombres de sus padres y en qué se desempeñaban?

R. Frankie. El nombre mis padres son Vicenta López Villa, fue ama de casa, mi padre se llamaba Félix Frank Figueroa y trabajaba de hojalatero de pintura y mecánico de autos, también se desempeñó muchos años en la política en Puerto Rico

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Foto: cortesia de Joe Quijano, Tito Puente, ROAST DVD

P. ¿Cuál es su nombre, lugar de nacimiento y fecha? Y, ¿como fueron sus primeros años de infancia?

R. El nombre mío es Félix Frank Figueroa: yo nací en Guayama, Puerto Rico, el 27 de enero de 1941; entré a la escuela de la edad de 7 años; de niño trabajaba vendiendo periódicos y frutas, también trabajé lustrando botas; sólo realicé este trabajo por dos años, me salí de eso porque me daba vergüenza de las muchachas de la escuela, ja.ja.ja.  Yo empecé tocando tarros de lata porque no tenía para comprar unos tambores, me acuerdo que me metía a la cocina de mi madre a practicar percusión y utilizaba como tambor el galón donde ella guardaba el combustible para prender la estufa. Luego me llamaron a integrar la Banda Municipal de Guayama; el canto por esa época no me llamaba la atención, sólo cantaba en la escuela música de Navidad, entré a la Banda tocando la batería, cuando me estaban dando las indicaciones no fue necesario, porque yo ya sabía tocar, nadie me enseñó a tocar percusión pues aprendí de oído, escuchando la radio. La primera orquesta que escuché fue la de César Concepción, fue mi orquesta preferida y nunca creí que integraría esa gran banda, también escuchaba en la radio música de tríos como Johnny Albino, el trío Los Panchos, Felipe Rodríguez, y orquestas grandes como la de Pérez Prado y Tito Puente.

Frankie Figueroa

Terminados mis estudios viajo en 1959 a Estados Unidos y comienzo a tocar como percusionista con varios grupitos que no eran profesionales, luego tengo un paso fugaz por el grupo de Moncho Leña. Y después por recomendación de un gran amigo mío que era pianista apodado “Macucho” integré la orquesta de Paquito López Vidal el compositor de Espérame en el cielo. Trabajé por tres años tocando las tumbadoras, el cantante de esa orquesta me daba la oportunidad de cantar una canción en cada presentación, luego integro la orquesta de Carlos Pizarro, en la cual trabajé casi por dos años en el Broadway Casino; luego nos fuimos a trabajar en el Caravana Club, que por esa época era el mejor club de salsa y pachanga, ahí fue donde me vieron Willie Rosario y Bobby Valentín que era el trompetista de su orquesta. .

Ellos me oyeron interpretar un número que me dejaban cantar en la noche un bolero llamado Negrura el cual grabó Rolando Laserie; ellos me vieron cantar y me invitaron a integrar su nueva orquesta, la cual Willie reformó por un inconveniente con el cantante Yayo el Indio, al que la orquesta de Willie lo acompañaba en el club Caborrojeño. Yayo y el pianista Héctor Rivera se quedaron con todos los músicos, con  excepción de Bobby Valentín.

Grabo el primer LP de Willie Rosario, como vocalista pero yo no iba a ser el cantante de la nueva orquesta; él tenía planeado integrar a Alfredo Vargas que era cantante de la orquesta más vieja de Puerto Rico. La orquesta Happy Hills de San Germán, pero a Willie no le gustaba ese cantante y se decidió por mí

Con la orquesta de Willie trabajé durante dos temporadas, después me vinculo a la orquesta de César Concepción y viajamos a Puerto Rico.  Duré dos años con esa orquesta. Después viajo a México y firmo con ese gran sello Musart,  yo fui el primer cantante puertorriqueño que grabó con  esa gloriosa compañía mexicana, tuve el gran honor de grabar con grandes maestros como Memo Salamanca, Nacho Rosales y Bobby Ortega.

Bueno, luego de mi estadía en México me llamaron de Panamá el hijo de Miguelito Valdés “Mr. Babalú” que le decían “Chengue”, para trabajar en un programa de televisión que él dirigía en el canal TV2 el show de Blanquita Amaro, ella era una bailarina, cantante y actriz cubana. Inicialmente mi contrato en el canal fue por diez días y me quedé trabajando por tres meses.

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P. ¿Cuales son los cantantes que más lo influenciaron?

R.El que más me influenció fue Benny More, él fue el más grande, pero también admiraba a cantantes como Gilberto Monroy, Vitín Avilés, Ismael Rivera y Joseíto Mateo.

P. ¿En cuáles otros programas de televisión trabajó?

R. Trabajé en Nueva York en el show de Gaspar Pumarejo. Luego con Myrta Silva en el programa Una hora contigo, que ella presentaba. Y con Polito Vega en un programa que se llamaba El show de la juventud.

A raíz de mi trabajo con Myrta Silva firmo con ella un contrato para que sea mi manager, la cual trabajó conmigo hasta el día de su muerte.

P. ¿Por cuáles orquestas pasó fugazmente como percusionista y cantante?

R. Después de trabajar con Willie Rosario y antes de integrarme con César Concepción yo trabajé con Kako, Rey Terrace, Héctor Rivera, Joe Cotto que su cantante por esa época era Mon Rivera; también estuve con Johnny Pacheco, reemplacé a Chivirico Dávila que cantaba con Monguito el único; esos dos eran los cantantes de Johnny por esa época, yo cantaba con el que me llamara y con estas orquestas no grabé como cantante.

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FOTO: CORTIJO, FRANKIE FIGUEROA, ISMAEL RIVERA

 

P. ¿Con cuáles otras orquestas grabó?

Con Ray Terrace grabé tocando congas y con Kako grabó haciendo coros y como conguero. En el LP donde están los temas Las nenas del barrioEl jaleo, El bebé, el cantante era Julián Llano, tremendo vocalista fallecido.

P. ¿Qué nos puede contar del trabajo que grabó con DAVE MONTAGNE?

R. Mira, yo no me acordaba de esa grabación, él era un pianista y vibrafonista que me vio cantando con Ray Terrace y me invitó a grabar, pero yo nunca pensé que él iba a sacar esa grabación, yo pensé que eso era solo para uso personal de él, yo nunca he tenido la oportunidad de escuchar ese LP.

Te cuento una anécdota, estuve ensayando con la orquesta de Pérez Prado; él tenía una gira para Puerto Rico, pero al final no puede acompañarlo porque tenía unos compromisos en mi trabajo como paramédico.

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P ¿Cómo fue la vinculación suya con Tito Puente?

R. Después de la salida de Santos Colón y Meñique, me llamó Charlie Palmieri y yo pensé que era para trabajar con él, pero no, él me dijo que integrara la orquesta de Tito Puente porque sus dos cantantes se retiraron de su banda. Por esa época yo ya trabajaba en emergencias médicas como paramédico, esta profesión la empecé estudiando por mi propia cuenta leyendo libros relacionados con el tema, luego para tener la licencia tomé clases en un hospital de Nueva York y a la par trabajaba con la orquesta de Tito.

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P. ¿Cuántos años trabajó con la orquesta de Tito Puente y cuál fue el motivo de su salida?

R. Trabajé con Tito Puente 23 años, el motivo de mi retiro fue en 1990 cuando el manager Ralph Mercado empezó trabajar con Tito. Ralph quería darme órdenes y ni el propio Tito me las daba, él me quería imponer que en los conciertos le hiciera coros a Celia Cruz y le dije que yo no era corista, que Tito Puente me contrató como cantante de su orquesta, no como corista; le dije que solo hacía coros en las grabaciones, no en los conciertos. Eso motivó mi retiro definitivamente de la orquesta. Continué con mi propio grupo trabajando.

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P. ¿Quién le puso el apodo de Míster Estilo?

R. Eso fue Ulises Frenes un actor de novelas y presentador de un programa de televisión llamado El show del medio día, de Puerto Rico, en el cual yo estaba presentándome todos los días con la orquesta de César Concepción; el apodo de “Míster Estilo” fue porque cuando yo cantaba me tiraba al piso y tiraba puños cuando empezaban las trompetas a sonar. También “Chori” Castro, que era un actor y cantante, me puso el apodo de El boxeador que canta, pero yo nunca fui boxeador, sólo lo practicaba para defensa personal, nada más, pero en el mundo musical me conocen más como “Míster Estilo”.

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Foto:cortesia  de Joe Quijano, Tito Puente,  ROAST DVD

P. ¿Qué otros instrumentos fuera de la percusión ejecutaba?

R. Bueno, por aquellos tiempos se escuchaba mucho la orquesta de Pérez Prado y me gustaba mucho como sonaban las trompetas de esa excelente banda, y empecé a practicar trompeta, la aprendí a tocar de oído, igual que la flauta, pero solo era por hobby, no fue nada profesional.

P. ¿Por qué crees que la mayoría de orquestas y cantantes ya no graban bolero? y que solución tienes para que este genero musical reviva.

R. En mi opinión las orquestas y los intérpretes ya no graban bolero, porque saben que las emisoras no los van a pasar, porque le dan prioridad a otros ritmos como el reggaetón y la salsa monga.

Para que el bolero no muera todas las emisoras musicales deben de tener en su programación un espacio de bolero mínimo de una hora, creo que eso puede ser una solución para que no muera este lindo género, que yo siempre interpreto con mucho filin.

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P. De las orquestas que integraste, ¿con cuál de ellas te sentiste más cómodo interpretando bolero?

R. Fue con la orquesta de César Concepción, porque él me marcaba los boleros con mucha maestría, él era un verdadero maestro y excelente trompetista.

P. De los nuevos cantantes de la salsa, ¿cuál le llama la atención?

R. Yo aún creo en los cantantes de antes que se mantienen, de los nuevos ninguno me llama la atención.

P. ¿Qué recuerda de sus viajes a Colombia?

R .Bueno, me gusta mucho Colombia, sus mujeres y su comida y el tremendo público salsero. De los países donde más he sentido el cariño y la admiración de su gente, me acuerdo en especial de un concierto en 1987 en Cali, con Ismael Rivera Jr., Orlando Watussi y Jr. González, esta presentación fue una de las más gratas de mi carrera artística.

P. Háblenos un poco sobre su familia

R. Tengo trece hijos, ocho hombres y cinco mujeres y todos los hombres tienen el mismo nombre mío y el de mi padre, todos se llaman Félix Frank Figueroa, tengo quince nietos y vivo feliz con mi esposa actual, ella se llama Victoria José. Ya  estoy jubilado Y  sigo cantando porque es mi pasión.

P. ¿Como se llama su orquesta actualmente y qué nuevos proyectos tiene a futuro?

R. Tengo dos formatos, la más grande se llama Orquesta La Madre y el grupo pequeño Son de Nariz, este nombre se lo puse porque algunos músicos de mi banda, tú sabes, ja.ja.ja, actualmente estoy terminando de grabar un nuevo CD donde incluí canciones nuevas como Pruebo, y Vivito y coleando

Intervista a Paquito Perez – Orquesta Zodiac

di Oscar Jaime Cardozo Estrada – Ottobre 2006

Traduzione a cura di La Chica e Cafè Caribe


Direttore, cantante, compositore e arrangiatore della Orquesta Zodiac di Puerto Rico.
In primo luogo è motivo di orgoglio per noi qui a Cali e per l’intera Colombia ricevere visita per la prima volta della Orquesta Zodiac di Portorico, orchestra che ci ha fatto muovere corpo, anima e illusioni negli anni ’70, con brani come “Tremendo Problema”, “Sinceridad”, “Panteón de Amor”, “El Adiós” e “El Negrito Zambú” tra gli altri. Benvenuti nella Capitale Mondiale della Salsa… Cali.

OSCAR JAIME CARDOZO ESTRADA (OJCE) Paquito, iniziamo dal principio. Come, quando e dove nasce l’Orquesta Zodiac?

FRANCISCO PEREZ PEREZ (PP) Allora, bene, in primo luogo ti ringrazio per averci portati in Colombia nella Capitale Mondiale della Salsa, Santiago de Cali. Grazie.
La Orquesta Zodiac nasce nel 1971 quando io avevo un’orchestra che si chiamava Loiza Power e ce n’era un’altra che si chiamava Loiza Sound. Abbiamo deciso di unirle e scegliere i migliori musicisti di ognuna delle due e formammo quella che oggi conosciamo come La Orquesta Zodiac di Puerto Rico. Iniziammo con Jorge Luis Vizcarrondo e Tony Escobar il famoso oratore del “Poema de Despedida” di Jorge Ángel Bueza che fa da introduzione a “El Adiós”, composizione di Carlos José Cirino. Fu questo brano che davvero ci ha lanciati nella nostra vita musicale, inoltre ebbe successo per molto tempo nelle radio latinoamericane.

(OJCE) Però dove nasce l’orchestra?

(PP) L’orchestra nasce a Loiza, Puerto Rico, città sulla costa dove è nata la maggior parte dei musicisti de La Zodiac.

(OJCE) Domanda obbligatoria. Quanto ne ha risentito la Salsa in America Latina, casomai sia successo, con l’arrivo del Reggaeton?

(PP) Tutti diciamo che i diversi ritmi devono avere la propria opportunità sul mercato. Quel che succede è che la Salsa ha radici ben profonde, è allegra ma allo stesso tempo è romantica, è cadenzata ma si accende con il suono del timbal, del piano o dei fiati. La salsa ti porta da una guaracha ad un cha cha cha passando per una pachanga o un guaguancò. Il reggaeton è uno e continuerà ad esserlo.

(OJCE) Però con alcune fusioni fra Salsa e Reggaeton, chi prende dall’altro per non scomparire?

(PP) La salsa non scomparirà mai. È come dire che scomparirà il bolero o che il tango non continuerà ad esistere. Penso che ci siano ritmi eterni e ci sono ritmi di moda e il reggaeton è un ritmo di moda che deve mischiarsi alla salsa per respirare vita, la vita della salsa stessa.

(OJCE) Paquito, qual è il brano “bandiera” de La Zodiac di Puerto Rico.

(PP) Il brano “bandiera” de La Zodiac è indiscutibilmente “El Adiós”. Penso che sia il brano “bandiera” perché fu il primo che andò alla grande e che ci catapultò verso il successo, mettendoci all’altezza di grandi orchestre del periodo, in pieno furore, come quella di Héctor Lavoe, La Fania, La Selecta, El Sabor de Nacho, La Sonora Ponceña, Bobby Valentín, Lebrón Brothers e La Corporación Latina. Ricordo che mettemmo “El Adiós” in un 45 giri e sull’altro lato c’era il brano “Costumbres” e fu inciso il 15 ottobre del 1971.

Foto cortesia di David Cantrell
(OJCE) Cali corrisponde a ciò che vi aspettavate a Puerto Rico?

(PP) Cali ha decisamente sorpassato i limiti di ciò che ci eravamo immaginati. A Cali si vive la salsa, si respira salsa e si gusta salsa. Ci siamo sentiti estremamente soddisfatti ed è stata un’esperienza fortificante vedere come il pubblico canta le nostre canzoni, chiede i titoli, desidera autografi, ci hanno decisamente dimostrato in prima persona che La Zodiac ha posto una pietra miliare nella storia musicale di Cali negli anni ’70.

(OJCE) Da dove viene il nome Zodiac?

(PP) Tony Escobar aveva un cugino che lavorava come venditore. Correva di paese in paese portando e offrendo la propria mercanzia. Una qualche volta ci ascoltò suonare in quella fusione di Loiza Power e Loiza Sound e ci suggerì di battezzare quella unione come La Zodiac visto che in quel momento Walter Mercato con i suoi astri e pronostici andava di moda in tutta l’isola. Così fu che decidemmo di accogliere il nome e da quel momento cominciammo a chiamarci la Orquesta Zodiac.

Foto cortesia di Americasalsa
(OJCE) Cosa è successo a Tony Escobar, perché non è venuto a Cali?

(PP) Tony Escobar ha avuto problemi di salute e in accordo con le indicazioni mediche abbiamo deciso di comune accordo che era meglio non venisse in Colombia. Però speriamo che per la Feria de Cali di dicembre, quando torneremo, Tony venga con noi.

(OJCE) La Zodiac, Orquesta di salsa “gorda”, come dicono i portoricani del centro dell’isola, ha pensato di affrontare altri ritmi?

(PP) In verità no. Il massimo che abbiamo fatto sono canzoni romantiche come “Llámame” che ho composto nell’anno 1973 o “Mi Guitarra” composta da Ángel Luis Laureano che furono successi assoluti in tutta America.

(OJCE) E ora cosa farà La Zodiac.

(PP) Grazie a persone come voi che credono e appoggiano le orchestre che hanno dato tanto splendore alla salsa, prepareremo un nuovo lavoro nel quale dovremmo includere un brano di ammirazione per Cali.

(OJCE) Bene Paquito, Cali è casa tua. Tutti siamo tuoi amici. Su www.americasalsa.com La Zodiac avrà una finestra sul mondo nella quale noi salseri potremo conoscere i tuoi progetti e il movimento salsero della Zodiac. Attraverso questo importantissimo portale di salsa nel mondo, vogliamo esprimere la nostra particolare ammirazione per La Zodiac, ora che come banda matura suona meglio; se prima lo facevano bene, immaginatevi oggi, dopo 35 anni dalla fondazione…

(PP) Oscar, molte grazie per averci tenuto in considerazione per queste belle parole che ricevo e condivido con i 13 membri de La Zodiac che ci hanno accompagnato a Cali.

Oscar Jaime Cardozo Estrada è Direttore del 15° Encuentro Nacional e 2º Internacional de Melómanos y Coleccionistas 49ª Feria de Cali 2006. È anche Direttore Generale di EKC Producciones, una compagnia dedicata all’organizzazione di eventi, rappresentazione artistica e nella consulenza generale.

Articolo tratto da www.americasalsa.com

Willie Rosario

Intervista a Willie Rosario

Intervista a

Willie Rosario

Intervista di Tommy Salsero realizzata nel mese di Luglio del 2005

 

Willie Rosario


 

Willie Rosario – Busca el Ritmo

Clicca per ascoltare l’intevista a Willie Rosario

Quali sono i musicisti che ti hanno influenzato maggiormente nella tua carriera?

Sicuramente mi ha influenzato molto la maniera di suonare di Tito Puente anche se lo stile che mi piaceva maggiormente era quello di Ubaldo Nieto che era il timbalero dell’orchestra di Machito.

Nella tua carriera hai suonato con Tito Rodriguez, puoi dirci come nacque questa collaborazione?

Tito Rodriguez fu uno dei primi ad aiutarmi nella mia carriera, perchè eravamo vicini di casa a New York e la prima musica che io suonai per il mio gruppo me la regalò Tito Rodriguez, che era una persona con la quale c’era una grande amicizia e che ammiravo molto.

La tua orchestra si caratterizza per il suono del sax che è molto particolare. Ci puoi dire com’è nato questo modo di suonare e se qualcuno in particolare ti ha influenzato?

In quel periodo a New York c’erano molte persone che cercavano un nuovo modo di suonare ed io pensai che poteva essere il suono di un flauto o di un clarinetto ma alla fine mi ispirò il sax baritono, perchè una volta mentre ero al Blue Note che era un sito di jazz a New York, vidi Gerry Mulligan che suonava il sax baritono e mi entusiasmai per quello strumento al punto che pensai che quello strumento avrebbe potuto essere quel qualcosa di nuovo in grado di caratterizzare il suono della mia orchestra.

Il sax baritono nella tua orchestra serve anche per rinforzare il suono del piano e del basso?

Sì, infatti il sax baritono rende più forte e importante il suono ed è la cosa che ha caratterizzato l’essenza ed il suono della mia musica. Inoltre nella sezione del mambo della canzone, il sax baritono gli dava più vita, più swing.

Parlando di armonia e composizione ho notato che la tua musica ed i cori si contraddistinguono per l’armonia che è più ampia, con 4 battute del soneo e 4 del coro ed in questo modo gli strumenti come il piano hanno più possibilità di giocare con l’armonia. Com’è nata questa idea?

Quasi tutte le mie canzoni hanno 4 battute nei cori, ma ci sono anche canzoni che ne hanno 8. Questo perchè i musicisti, come il pianista, hanno più tempo per pensare a cosa devono fare e di prepararsi perchè il riff che chiamano el guajeo (ndr.ostinato armonico ritmico del piano) è lo stesso armonicamento del coro e del soneo. Questo tempo ti fa pensare di più a rompere gli accordi (ndr.sostituzioni di cadenze armoniche) e a fare altre cose interessanti.

Anche altri musicisti che hanno lavorato con te come Jose Lugo e Luis Quevedo hanno queste caratteristiche, vero?

Sì. Nella mia carriera ho lavorato con tanti pianisti bravi come Paquito Pastor, che lavorò anche con Tito Puente, Luis Cruz che poi suonò con Ray Barretto, Alfredo Rodriguez che vive a Parigi (ndr.all’epoca dell’intervista era ancora vivo, è scomparso a Parigi nel 2005), Luis Quevedo, Luisito Marin, Pedro Bermudez, Jose Lugo. Sono passati tanti musicisti nel corso degli anni che hanno suonato con me.

Parlando della salsa dei giorni nostri, quali sono le differenze fra il suono e lo stile della salsa degli anni settanta e quella dei primi anni ottanta, la cosiddetta salsa romantica o come dicevi tu, salsa monga?

Quello che succede con questa salsa romantica, o monga, o suave (delicata) è che si tratta di baladas suonate in tempo di salsa che nacquero per volontà delle case discografiche, le quali stavano cercando cantanti giovani per interpretare questa musica.
Questa infatti è una musica che mette in evidenza solo il cantante, non come era la nostra musica degli anni settanta, dove ogni orchestra aveva il suo sound.
Nella salsa monga (ndr.romantica) tutti gli arrangiamenti sono uguali, il sound è sempre lo stesso, il fraseggio anche e tutto questo è stato inventato dalle case discografiche per una questione di puro commercio.
Però la vera salsa è la salsa gorda, la salsa classica, ovvero, negli anni cinquanta era l’epoca del mambo e delle orchestre di New York dove noi abbiamo iniziato. C’erano Tito Puente, Tito Rodriguez, Machito, Marcelino Guerra, Arsenio Rodriguez, Johnny Seguí.
Le orchestre degli anni settanta continuarono la strada intrapresa da quei grandi musicisti, fra queste vorrei citare La Sonora Ponceña, El Gran Combo, Roberto Roena, Bobby Valentin, la nostra orchestra, Ray Barretto, Eddie Palmieri, tutti noi abbiamo continuato con le tradizioni di questi grandi musicisti degli anni cinquanta, ovvero Machito, Puente, Rodriguez.

Quello che succede adesso è che noi non abbiamo nessun erede in questo stile. Quasi tutti i gruppi nuovi suonano salsa monga, c’è un gruppo qui che si chiama “N’Klave” che ha iniziato a inserire arrangiamenti interessanti.
Noi abbiamo iniziato a suonare per i ballerini e non per dare spettacolo, al contrario della salsa monga, che è già passata di moda.
Ti posso fare l’esempio di alcuni cantanti di salsa monga che hanno già smesso di suonarla: Luis Enriquez, , David Pabon, Max Torres, Rey Ruiz, tutti questi sono già fuori dal nostro ambiente, perchè la salsa romantica era molto lenta e la salsa invece deve tenere la gente sveglia, eccitata!

La salsa monga non eccita nessuno!
E’ solo la presentazione di un cantante fatta dalla casa discografica con una grande promozione pubblicitaria.
Però l’unica salsa che c’è, che è stata inventata dai musicisti è la salsa gorda, la salsa dura, con canzoni suonate per la gente, per il popolo.
La salsa romantica è già finita.

Ci sono stati alcuni musicisti come Benny Moré

Rafael Cortijo

, che non avevano una conoscenza musicale accademica, le cui orchestre però rivoluzionarono il modo di suonare.

Vorremmo sapere qual è il tuo modo di arrangiare la musica ed il tuo rapporto con gli arrangiatori.

Quello che successe con musicisti come Benny Moré e Rafael Cortijo è che non studiarono la musica e soprattutto composizione e armonia e non potevano esprimersi scrivendo la musica.
Avevano bisogno di qualcuno che lo facesse per loro.
E allora io davo loro le mie idee, i miei spunti, perchè l’arrangiatore è un creativo, deve esserlo.
Tu puoi sapere più musica di chiunque al mondo ma se non hai fantasia non ti serve a niente.
Bobby Valentin arrangia la mia musica per il mio suono, per il mio stile, ma al tempo stesso arrangia anche il suono della sua orchestra e di altre.
Io ho sempre cercato arrangiatori riconosciuti e stimati, come Bobby Valentin, Louie Ramirez (che riposi in pace)

José Febles, Jose Lugo, Jose Madera, Jorge Millet, Humberto Ramirez, Julito Alvarado, Luis Cruz, Ray Santos, insomma si tratta di arrangiatori riconosciuti, capaci di arrangiare e che sanno interpretare il mio pensiero. Io non devo dirgli nulla perchè loro sanno già quel che voglio.

A volte ci sono stati degli arrangiamenti dove io davo alcune idee, però non sapendo scrivere musica dovevano scriverla loro.
Il primo LP che ho fatto che fu arrangiato quasi completamente da Bobby Valentin, tutte le idee le diedi io, perchè Bobby Valentin era ancora molto giovane e ancora non aveva esperienza.

Insomma le orchestre devono avere sempre buoni arrangiatori perchè è molto importante avere arrangiamenti forti e interessanti così da rendere possibile la distinzione di tutti i musicisti dell’orchestra.

L’ultima domanda: quali sono i tuoi progetti attuali e futuri?

Mi sto preparando per fare un nuovo cd, continuerò a suonare dal vivo e a fare viaggi all’estero. Ho un’offerta per l’anno prossimo (2006) se Dio lo vuole per andare in Europa, in particolare in Spagna. Ad Agosto (ndr.2005) andremo in Colombia, quindi al Congresso della Salsa in California, abbiamo un altro viaggio in Venezuela, e poi chissà, ci sono tante cose future che nessuno può prevedere. Solo Dio conosce il futuro.

Intervista a Larry Harlow

Domande a cura della redazione de Lasalsavive, Tommy Salsero, Enzo “Ciccio” Luoni, (si ringraziano inoltre Fabrizio Zoro e la Radio Svizzera Italiana) traduzione di Max Chevere, foto di Cafè Caribe, Daikil e Max Chevere


Milano, 15 luglio 2006

Larry Harlow
Larry Harlow con Tommy e Max

Come si formò musicalmente e come arrivò alla musica latina?

Tutta la mia famiglia era formata da musicisti, mio padre bassista e cantante, mia madre cantava l’opera, mio zio suonava il violino ed il sassofono e di conseguenza sin da bambino a casa mia ascoltavo musica 24 ore al giorno.
Quando avevo 13 anni andai alla scuola di musica a Manhattan (New York) e frequentando il barrio latino ebbi modo di girare per i negozi di musica e ascoltare i cantanti ed i gruppi che in quel periodo andavano per la maggiore, come Tito Puente, Machito, Tito Rodriguez e questa musica mi colpì molto, al punto che decisi di approfondirne la conoscenza.
In quell’epoca, anni 50, se non eri afro-americano e se non facevi uso di droghe eri quasi escluso dal giro del jazz ed io ero un ebreo bianco che non si drogava e di conseguenza mi avvicanai al genere musicale più vicino al jazz: la musica latina.
Iniziai a suonarla con gruppi afro americani, anche se si trattava spesso di canzoni molto semplici, come Mambo N.5 e Mambo N.2, e sapendo leggere musica molto bene fui accettato nel gruppo.
Durante la prima prova cominciai a suonare leggendo le note scritte nello spartito ma il direttore dell’orchestra sentendomi mi disse “ehi ragazzo, tu suoni in modo terribile!” e mi mandò fuori dal gruppo. Ero molto triste perchè non ne comprendevo il motivo.
Mi recai al primo negozio di dischi e comprai due LP uno di Noro Morales ed uno di Joe Loco, che erano pianisti molto famosi in quel periodo e imparai a memoria gli assoli.
Quando andai ad altri saggi e cominciai a suonare gli assoli di Joe Loco e Noro Morales, mi dissero:“ehi ragazzo ma tu suoni molto bene!!!”
Iniziai a suonare a 15 anni con una band chiamata Randy Carlos ed ebbi l’opportunità di fare le prove per due mesi a Catskills, una località di montagna a circa un’ora e mezza da New York City che era piena di hotel dove suonavano le migliori band di Rumba formate da cinque/sei musicisti e fra questi c’erano artisti come: Charlie Palmieri, Eddie Palmieri, Tito Puente, Joe Loco.

Cominciai a suonare con un gruppo piccolo che divenne nel tempo molto famoso.
Nel periodo natalizio del 1956 andai a Cuba con il mio collegio per una vacanza di dieci giorni, e per me fu come vedere un Paradiso, questa è la verità, in ogni strada si trovavano gruppi, trios, charangas, trovas, Benny More’ di quà, Aragon di là, fu un’esperienza fantastica.
Quando rientrammo a New York decisi di tornare a Cuba per studiare con questi grandi musicisti le radici della musica afro-cubana anche se nel 1959 con l’ascesa al potere di Fidel Castro, tutti gli americani furono obbligati ad andarsene dall’isola e così dovetti tornare a casa.
A quell’epoca Jerry Masucci studiava con me all’Università dell’Havana (Cuba) e di fronte c’era una cafeteria (coffe shop) che si chiamava “Fania” dove c’erano un piano acustico, un contrabbasso, delle congas, e altre percussioni e tutti gli studenti si trovavano lì per descargar (jam session) e questo nome rimase impresso a Jerry.
Nel 1964 suonavo nella Fiera mondiale di New York con Johnny Pacheco che cercava un avvocato per aprire un’attività di casa discografica indipendente per registrare musica differente, e Pacheco pensò di chiamare Jerry Masucci (che era avvocato), lui gli prestò 30.000 dollari e così nacque la Fania Records.

In quel periodo non esistevano gruppi di trombe e tromboni, c’erano orchestre di trombe o di tromboni e flauto come Eddie Palmieri,Machito con sax e trombe, e quindi cominciai a scrivere musica differente; suonavamo un giorno a settimana (il venerdì) con questa nuova formazione (Orquesta Harlow) che includeva trombe e tromboni in un locale che si chiamava “Chez Josè” a New York.
Un giorno arrivò Jerry Masucci e dopo averci sentiti suonare disse: “Hey kid!Io ho una compagnia discografica e devo farti firmare un contratto discografico.Mi ha mandato il mio direttore musicale per sentire il tuo gruppo”.E sapete chi era il suo direttore musicale?…Johnny Pacheco! (e scoppia in una grossa risata).
E così io fui il primo artista a firmare per la Fania Records.

Vorrei chiederle qualcosa della sua esperienza musicale con Joe Cuba e Cheo Feliciano

Negli anni 50 Joe Cuba era molto famoso nel barrio “montañas” perchè suonava con un sestetto compatto che comprendeva cantanti come Cheo Feliciano e Jimmy Sabater, (ndr: all’epoca c’erano in genere orchestre di dimensioni maggiori), inoltre lui suonava in modo differente e scriveva musica differente in uno stile da strada, “de barrio”.
Adesso e’ molto malato ma vivo, ha settantotto anni e non può camminare ma continua a lavorare in quanto è ancora molto lucido (ndr Joe Cuba morirà alcuni anni più tardi).

Che pensa della salsa di oggi?

Adesso c’è una rinascita della salsa dura, specialmente a Portorico e negli Stati Uniti, anche in Venezuela.
Io credo che la musica latina si rinnovi con cicli settennali, negli anni cinquanta c’era il mambo, dopo è arrivata la musica latina, poi è arrivato il boogaloo, a seguire la salsa dura, poi il latin hustle, quindi la salsa monga.
Adesso i giovani che ascoltano salsa stanno riscoprendo la salsa dura, anche se non conoscono Larry Harlow o Johnny Pacheco quando sentono una canzone di salsa monga ed una di salsa dura ci pensano un attimo e poi scelgono subito la salsa dura (scoppia in una fragorosa risata!). Ed in questo modo stanno riscoprendo la salsa dell’epoca d’oro.
Molti grandi artisti adesso sono morti (TIto Puente, Celia Cruz, Pete El Conde, Hector Lavoe), siamo rimasti Eddie Palmieri ed io, Johnny Pacheco ormai non suona più,e adesso io sono diventato uno dei grandi artisti viventi e negli Stati Uniti la gente che adesso ha cinquant’anni ha una concezione della musica legata a quei tempi e di conseguenza quando vogliono organizzare un concerto o promuovere qualche iniziativa latina, chiamano gli artisti come Larry Harlow o Eddie Palmieri.
E adesso il mio telefono suona continuamente!

Cosa pensa degli artisti che mischiano il reggaeton con la salsa (salsaton)?

Bene, come sai gli artisti che suonano reggaeton copiano i temi musicali dei musicisti che suonavano salsa dura. Adesso i proprietari della FANIA di EMUSICA hanno preparato un nuovo progetto per mischiare il reggaeton con la salsa della Fania che dovrebbe uscire il prossimo Dicembre (con Tego Calderon e Ivy Queen fra gli altri) e del quale sono il direttore musicale.
Ad esempio Ivy Queen canterà Quimbara e sarà una fusione fra salsa e reggaeton.

Negli anni settanta lei seguiva due principali filoni musicali, uno principalmente legato alla tradizione cubana e l’altro più innovativa e d’avanguardia…

(Larry interrompe la domanda…)In realtà io ne ho tre.
Una produzione musicale mischiata con la musica americana, un’altra legata alla tradizione del Conjunto e l’altra di Charanga.
E questo perchè ho la fortuna di avere alcuni musicisti nella mia orchestra che alternano due violini ed i fiati allo stesso tempo, perchè come sapete hanno tre suoni diversi.
Nell’anno 69 io avevo un gruppo che si chiamava Amber Gris che era formato da due o tre ragazzi del gruppo afro americano Blood Sweat Tears, quando registrammo “Me and my Monkey” mischiando musica americana con salsa e dove suonavano molti musicisti americani.

Infatti negli anni settanta ci furono molti esperimenti di musicisti afro americani che suonavano con i latini, un pò quel che accade oggi con la salsa e l’hip hop, ed oggi quel che fanno a Cuba con la timba mescolando funky con rumba…

Il problema a Cuba dopo l’avvento di Fidel Castro, con generi come Mozambique, Songo, Timba è che la gente negli Stati Uniti non li sa ballare.
Un gruppo cubano è venuto a suonare al Copacabana di New York e dopo il primo pezzo il proprietario ha fermato il gruppo e annullato il concerto. Alla gente non piaceva e questo perchè non sapevano ballare la timba.
Secondo me l’embargo a Cuba è negativo, molto negativo.
La musica di Cuba è incredibile, i musicisti altrettanto.
Vi immaginate cosa sarebbe potuto nascere dalla fusione della salsa con la timba?
Un altro problema secondo me è legato ai Congressi di Salsa.
Ai ballerini non interessa sapere chi sta suonando.
Pensano alle scarpe, se sono visti da altre persone ma non gli interessa della musica.
Negli anni del Palladium i ballerini erano ispirati dai musicisti ed i musicisti erano ispirati dai ballerini e più i ballerini ballavano bene, più l’orchestra caricava i pezzi.

Tornando ai Congressi…avevo chiamato l’ufficio di Albert Torres e mi risponde un ragazzo, gli dico:”vorrei parlare con Albert Torres” e lui: “chi parla?” ed io: “Larry Harlow”.
Mi risponde:”in questo momento non si trova in ufficio…come si scrive Larry Harlow?” (scoppia una grande risata). Gli dico:”Sei latino?E quanti anni hai?” e lui”quindici”!
Non sanno chi sono io o chi è Eddie Palmieri.
Interviene il cantante di Larry Harlow: un altro problema è legato alle radio, particolarmente quelle di New York, che spingono quasi esclusivamente il reggaeton.Adesso la musica sta bene, abbiamo nuovi musicisti e vorremmo poter esprimere la nostra musica.Purtroppo le radio non danno spazio alla salsa, non c’è equità fra salsa e reggaeton.
Riprende Larry:Ad esempio La Mega (la catena di Radio) che è presente negli Stati Uniti e a Portorico con diverse radio.
I proprietari sono due cubani, la radio è una delle più importanti di New York, tanto per dire 30 secondi di pubblicità costano 2.000 dollari! E’ incredibile! Nell’ultima registrazione che ho fatto con la “Leyenda Latina” nel 1998 mi ero proposto alla radio La Mega dicendo che avevo realizzato un disco con musicisti di varie estrazioni (latin jazz, charanga, salsa romantica)ma la risposta fu:”non avete nulla di reggaeton?” Ed io riposi:”come???”.
La gente a Portorico conosce la musica, la radio Z93 propone salsa 24 ore al giorno.
Interviene di nuovo il cantante: in questo momento abbiamo molto bisogno dei siti internet come il vostro (riferito a Lasalsavive), e dell’aiuto dei dj, che sono altrettanto importanti.

In Europa non abbiamo molte radio che trasmettono latino, ed i siti internet ed i dj hanno un ruolo fondamentale per divulgare questa musica…

E non solo.
Pensate che per venire a suonare in Europa ho dovuto subire la concorrenza di gruppi cubani che vendono i propri spettacoli a 3000 euro e noi non possiamo suonare a quella cifra.
A parte alcune realtà come a Milano dove hanno pagato una cifra giusta, il volo e l’hotel a cinque stelle, ce ne sono state altre (come alle Isole Canarie o ad Amsterdam) che ci volevano per 3000 Euro perchè dicevano che i gruppi cubani chiedono quella cifra.
Vedete, loro suonano per poco, il viaggio da Cuba è quasi gratis, magari si accontentano di sistemazioni economiche perchè a Cuba non c’è quasi nulla.
Interviene il cantante: noi non vogliamo togliere nulla ai cubani, loro sono ottimi musicisti.
Il punto è che l’embargo a Cuba sta rovinando anche i musicisti degli Stati Uniti perchè da Cuba vendono gli spettacoli per pochissimo e questo crea problemi anche a noi.
Per fortuna che ci sono orchestre come quella di Larry Harlow che danno l’opportunità anche ai più giovani di poter suonare, in questa orchestra ci sono molti musicisti che hanno già realizzato un proprio disco.
Ancora Larry: Pensate alla Leyenda Latina, i musicisti che ne fanno parte sono tutti dei grandi.
Bobby Sanabria ha fatto molti dischi, Luis Bauzo ha suonato con Machito per diversi anni, il sassofonista ha suonato con Mariah Carey, Lewis Kahn ha suonato con tantissimi musicisti, Chembo Corniel con Tito Nieves. Sono tutti dei grandi musicisti.

Attualmente chi sta facendo la miglior salsa a New York e Portorico?

Più o meno sono sullo stesso livello.C’è una differenza, a New York sono più creativi. Le armonie jazz,gli arrangiamenti ed i compositori sono più moderni.
Negli anni 50 la musica era molto semplice, fatta di storie semplici come quelle con il cha cha cha.
Non c’era storia.Negli anni seguenti, soprattutto negli anni sessanta e settanta la musica cambiò moltissimo.Era il tempo delle rivoluzioni giovanili, di Woodstock, del Vietnam,delle proteste, della guerra, ed i compositori realizzarono canzoni con tematiche importanti, di amore e umanità, mentre gli arrangiatori iniziarono ad utilizzare armonie più moderne dal jazz, e piano piano nasce la musica che si chiama salsa.
Successivamente con i film della Fania si aprirono le porte del Sud America, e a seguire dell’Europa e del Giappone e adesso è incredibile, vado in Finlandia e trovo orchestre di salsa che cantano in finlandese!In Giappone anche.
C’è il gruppo di Sakamoto che suona come Machito!
Il prossimo mercato ad aprirsi alla salsa sarà quello della Cina.

Come mai Lewis Kahn ha mantenuto il suo nome e lei che si chiama Lawrence Ira Kahn l’ha cambiato?

Entrambe le nostre famiglie sono di origine austriaca, di Vienna, entrambe ebree. Il mio bisnonno aveva 19 fratelli e sorelle.
Mio padre a 19 anni suonava il sassofono, se ne andò a Washington dove ebbe un’incidente automobilistico. Il dottore che l’operò e gli salvò la vita si chiamava Harlowe, io ho tolto la “e” ed in suo onore ho preso il suo cognome.
Però la gente in Sud America aveva difficoltà a pronunciare il mio nome d’arte e per semplificarlo nacque il secondo soprannome “El Judio Maravilloso” che per loro era più immediato di Larry Harlow.

Qual’è il cantante che nella sua carriera le è piaciuto maggiormente?

Io iniziai con un cantante cubano che si chiamava Felo Brito, che era anche un ballerino nell’orchestra di José Fajardo.
Da allora, anche quando tornai a New York da Cuba, continuai a cercare musicisti cubani. Avevo Chocolate Armentero, Monguito el unico come secondo cantante.
Quando Ismael Miranda aveva 15 anni lavorava per mio fratello Andy che aveva un sestetto. Capii subito che per la sua età aveva una marcia in più, lo presi dall’orchestra di mio fratello e lo feci cantare al lato di Monguito per un anno.
Era un incredibile maraquero ed un ottimo sonero, fin dall’inizio si intravedevano le sue grandi qualità di sonero, ad es.aveva i suoi piccoli segreti, aveva qualcosa di Miguelito Cuni e sapeva già utilizzare i piccoli trucchi del soneo, l’uso di certe parole come “camarà” per finire la frase, imparò molto in un anno e dissi ciao a Monguito.
A 16 anni diventò il mio primo cantante, era l’epoca del boogaloo, quando registrai dischi come El Exigente. C’era una canzone che si chiamava las luces (le luci), perchè le luci erano tipiche della psicadelia che andava in quegli anni.
Fu un periodo molto pazzo della mia vita! (esplode in una fragorosa risata)
Miranda restò con me per sette anni, poi andò a Portorico ed io chiamai Junior Gonzalez per registrare “Hommy” dove c’erano altri grandi artisti come Justo Betancourt, Celia Cruz, Pete El Conde Rodriguez, e nel palco imparò moltissimo da loro.
Dopo arrivò Nestor Sanchez, che per me è uno dei grandi fra i soneros.
Mi piaciono molto anche Tito Allen, Andy Montañez, Oscar D’Leon che sono davvero grandi soneros con le parole e la poesia che arrivano dal cuore.
Io non sono un fanatico di Hector Lavoe, che però ebbe un gran periodo con Willie Colon.
Hector era un soneros de la calle (della strada), però per me non aveva melodia, usava bene la parola, però non aveva melodia creativa.

Quali sono i suoi progetti per il futuro?

E voglio morire sul palco! (altra fragorosa risata!)

 

Il nuovo progetto di Estrella de Fania e registrare un nuovo disco con La Leyenda Latina, e poi ho una bellissima famiglia e sono molto contento.

Ascolta i saluti di Larry Harlow a La Salsa Vive!

Si ringrazia l’organizzazione del Festival Latino Americando per la disponibilità dimostrata

Intervista a Angel Lebron dei Los Hermanos Lebron (Lebron Brothers) durante il Festival Latino Americando di Milano

Intervista a cura di Tommy Salsero

Ringraziamo per la collaborazione alle ultime due domande Enzo “Ciccio” Luoni

foto realizzate da Daikil


Hermanos Lebron - Lebron Brothers
Vi ricordiamo di cliccare sul pulsante “avanti” per far partire il filmato

Milano 30 Giugno 2007

Come e quando nacque il gruppo musicale Lebron Brothers?

Cominciammo nel 1967 nella città di Brooklin, New York. All’inizio eravamo in quattro fratelli: José, io (Angel), Carlos e Pablo che aveva una sua orchestra che si chiamava La Sonora Arecibeña. Fummo contattati dalla casa discografica Ortiz per registrare un disco, formammo l’orchestra e da lì cominciò tutto. Il primo album si chiamava Psychedelic Goes Latin, era il 1967 e fu subito un successo.

Che importanza ha avuto la musica afro-americana e quali sono stati i cantanti e le orchestre che vi hanno maggiormente influenzato?

Principalmente fu nostro fratello Pablo che era il fratello maggiore e che aveva già una sua orchestra, poi Tito Puente che è stato un gran maestro e anche un grande amico che ci aprì tante porte, se non tutte le porte ai musicisti portoricani nel mondo.

Angel Lebron Hermanos Lebron - Lebron Brothers

Angel Lebron

Nella musica dei Lebron Brothers c’è una forte influenza soul, avete unito le radici afroamericane con quelle latine, quali musicisti vi hanno ispirato principalmente?

Infatti all’inizio della nostra carriera cantavamo musica americana in inglese, sicuramente James Brown, Los temptation, Marvin Gaye, Smockey Robinson and the miracles, sono state le orchestre/musicisti che che ci hanno influenzato maggiormente dal punto di vista della musica.

James Brown

Los temptation

Marvin Gaye

Smockey Robinson and the miracles

Parlando di latin soul e di boogaloo, quali sono stati i primi musicisti a proporli?

Penso che il primo a iniziare con il boogaloo fu Jhonny Colon, sicuramente fu il primo ad avere un certo successo, poi Pete Rodriguez e quindi noi. La nostra canzone di maggior successo fu Funky Blues, ed è grazie al boogaloo se a distanza di quarant’anni siamo ancora qui, perchè ci fece conoscere fra i bianchi, i latini e gli afroamericani.

Quali furono le cause che portarono alla fine del boogaloo? Ho sentito dire che furono quelli della Fania Records che boicottarono il boogaloo, è vero secondo lei? Qual è la sua opinione?

No, il boogaloo terminò da solo.Fu una cosa di due anni e non dipese dalla Fania. Arrivò la salsa che era più forte e portò alla fine del boogaloo. Così come adesso va di moda il reggaeton che tra un po’ passerà e la salsa tornerà al suo posto. Nessuno potrà mai far terminare il reggaeton, finirà da solo. I giovani vogliono sempre cose nuove, non si fermano mai ad un genere, però non abbandoneranno mai la salsa.

Angel Lebron Hermanos Lebron - Lebron Brothers

Frankie Lebron

La salsa è la tradizione, il reggaeton è la moda.

Sì, è la moda dei giovani.

I Lebron Brothers pensano di registrare salsa con reggaeton come hanno fatto Andy Montañez o Gilberto Salsa Rosa?

No, noi stiamo bene così come siamo. Tempo fa ho letto un’intervista negli USA dove c’era un rapper di sessant’anni e domandavano a dei giovani se gli sarebbe piaciuto andare a vederlo suonare. La risposta fu negativa, i giovani preferiscono veder rappare i loro coetanei. Per questo motivo non siamo interessati al reggaeton, stiamo bene così.

Angel Lebron Hermanos Lebron - Lebron Brothers

Carlos Lebron

Avete avuto un grande successo in Colombia, come è cominciato?

La nostra musica ha trovato un ottimo riscontro fra i colombiani, è stata una cosa incredibile. C’è anche da dire che loro sanno molto di musica. I pezzi che abbiamo registrato trent’anni fa oggi sono grandi successi in Colombia. E non solo in Colombia, anche in Perù e in tutto il mondo. Però tutto è cominciato in Colombia, perchè oggi la Colombia, in particolar modo Cali, è l’unico paese che appoggia la musica salsa.

Possiamo affermare che oggi la Colombia è il paese dove la salsa ha maggior successo?

Sì è vero, in Colombia la salsa è molto amata. Anche negli Stati Uniti si ascolta meno ma in Colombia no, loro vivono nella salsa.

Che importanza hanno avuto gruppi portoricani degli anni cinquanta come Cortijo per i Lebron Brothers?

Cortijo y su Combo

Rafael Cortijo, Kako, Ismael Rivera, sono stati tutti nostri amici. Quando noi cominciammo a suonare loro erano già famosi e noi eravamo dei ragazzini di 17 anni e non davamo ancora molta importanza alla loro musica. Poi con il passare degli anni ci siamo resi conto di quanto fossero grandi, erano dei re, dei geni della musica salsa.

Ismael Rivera

Che importanza ha avuto la musica cubana nel vostro stile musicale?

Molta, noi abbiamo avuto un grande successo con dolores, una pachanga, mi sembra fosse di Moon Rivera e Joe Cotto. La musica cubana è buonissima, Benny Moré, Celia Cruz, La Sonora Matancera.

Benny Moré

Che differenza c’è tra la salsa di ieri, degli anni sessanta e settanta, e quella di oggi?
E cosa ne pensa del rilancio della salsa dura a New York ma anche in Colombia?

La salsa di oggi come la salsa romantica, rispettando le persone a cui piace, non è salsa vera, non è salsa callejera (del popolo), non è salsa dura.

Si può dire che è pop con una base salsera?

E’ più una “balada”, fatta per i ballerini.

…magari con un cantante carino…

Sì, perchè la gente sia invogliata a ballare. La verità è che un ballerino di salsa, non vuole ballare questa musica ma vuole la salsa dura, la salsa di Eddie Palmieri, dei Lebron Brothers, di Papo Lucca e La Sonora Ponceña, questa è la salsa che piace.

Tutti gli spettacoli dei ballerini più famosi sono realizzati su salsa classica e grazie a questa cosa oggi molte persone si stanno avvicinando alla salsa degli anni sessanta/settanta, al punto che in questo periodo in Italia è aumentato l’ascolto di salsa classica, che per me è la migliore.

Infatti noi stiamo girando per molti congressi e festival di salsa, perchè la gente vuole la salsa dura, che è la musica che preferisce.

Nuove produzioni in vista?

Per il quarantesimo anniversario abbiamo realizzato una nuova produzione, adesso sta per uscire il secondo volume, dove ci sono diversi cantanti come Frankie Vasquez, Héctor Pichi Pérez, Luigi Texidor, Pupy Cantor, ce ne sono molti. E nel prossimo che uscirà ci sarà anche Cano Estremera.

Qual è la canzone dei Lebron Brothers che le piace di più e perchè?

Quella che mi piace di più?E’ difficile ce ne sono tante… (uno dei fratelli suggerisce Cucala e scoppia una risata generale)…Cucala è di Celia! No, quella che piace a tutti è Salsa y Control ed è stata la canzone che ci ha permesso di aprire le porte verso il mondo.


Ringraziamo la direzione del Festival Latino Americando per averci concesso la possibilità di realizzare questa intervista

Frankie Martinez insieme a Tommy Salsero durante l'evento LaSalsaVive "El Alma del Tambor"

Intervista a Frankie Martinez

 

Intervista di Tommy Salsero e di alcuni giornalisti realizzata durante il Simposio salsa di Madrid il 23 Marzo 2008


Intervista a Frankie Martinez – Madrid 23/03/08

a cura della redazione de LaSalsaVive

Frankie Martinez insieme a Tommy Salsero durante l'evento LaSalsaVive "El Alma del Tambor"
Frankie Martinez insieme a Tommy Salsero durante l'evento LaSalsaVive "El Alma del Tambor"

Mio padre era molto coinvolto con la musica.
I miei genitori divorziarono quando avevo cinque anni, nel 1980.
Quindi lui era separato e mi veniva a prendere insieme a mia sorella nel weekend e ci faceva ascoltare musica latina, di diversi tipi.
Ci raccontava sempre delle varie orchestre, dei musicisti, dei vari concerti degli anni settanta che aveva visto e fu così che incominciai ad imparare e a collezionare musica. Noi all’epoca ballavamo ma era una cosa fatta in famiglia, niente di formale.
A 19 anni entrai all’accademia militare degli Stati Uniti ed ebbi modo di incontrare di nuovo mio padre che si era trasferito in Florida.
In quel periodo iniziai a frequentare i primi club nonostante non avessi ancora l’età per entrare ma, dimostrando più anni di quelli che avevo, non mi controllavono la carta d’identità e mi facevano passare.
Fu così che vidi i primi ballerini che provenivano dalle scuole di ballo.
Fino a quel momento non credevo che il ballo potesse essere così formale, anche perchè io avevo sempre ballato in famiglia come modo per rilassarmi.
Così a 19 anni iniziai a prendere le prime lezioni di ballo.
Ma la musica l’ho sempre sentita vicino a me.

Perchè hai iniziato a ballare lo stile di New York anzichè quello di Portorico?

E’ parte del mio modo di vedere le cose ed è anche una filosofia di vita che ho iniziato a portare avanti con il karate formale, quello tradizionale giapponese quando avevo 17 anni.
La mia filosofia era vicina al Buddismo.
Mi piaceva l’idea di unire la malizia di New York con il sabor di Portorico, nonostante fossero due generi molto diversi.
Con malizia non intendo qualcosa di negativo ma un modo di porsi tipico dei quartieri (barrios) di New York, mentre il sabor di Portorico era molto gioioso (gozon) e legato alla tradizione.
Mi piacevano entrambe le cose.
La mia personalità era stata plasmata da un’arte molto aggressiva e competitiva (ndr: il karate) e la malizia mi ha sempre attratto; per questo ho cercato di unire le radici che avevo imparato da mio padre quando mi raccontava la storia della musica di Portorico con quello che stavo facendo a New York e che era un po’ diverso.
Grazie a questo iniziai a sviluppare la mia personalità ed il modo di esprimere il mio corpo, anche perchè come sapete non sono nè forte nè alto e mi serviva una maniera per compiere questi movimenti e che mi permettesse di esprimere quel che avevo dentro, quasi come fosse una terapia.

Un po’ come avvenne con la break dance, che era una forma per esprimere la propria rabbia, la furia che i giovani avevano dentro…

Esattamente.

Frankie, chi sono stati i tuoi ballerini di riferimento a New York e a Portorico, anche fra quelli del passato?

All’inizio ammiravo molto Anibal Vasquez che ballava con Roberto Roena.
Credo che fosse suo zio.
Lui ballava anche con Mike Ramos. Differentemente da Roberto Roena, lui aveva un movimento più morbido e più specifico.
Io mi incantavo a guardarlo.
Quando lui morì, facemmo un tributo al Palladium di Los Angeles, con la compagnia di ballo di Eddie Torres di cui facevo parte.
Sua figlia era presente e per me era un grande onore essere lì presente, perchè per me fu lui ad iniziare a ballare con quello stile di Portorico così sciolto e gioioso.
Lui mi piaceva molto.
Altri personaggi che mi hanno ispirato sono Bruce Lee, Nureyev, John Coltrane, Jimi Hendrix.
Tutti personaggi di grande livello che hanno avuto un grande seguito fra le persone che cercavano sempre di imitarli e di raggiungere il loro livello, e che nonostante abbiano avuto una vita breve, hanno lasciato un segno in poco tempo.
Questa cosa mi motiva molto.
Mi affascina la regola della musica, di come un musicista può creare una cosa così intrigante e sofisticata.
Per me i musicisti sono come gli uomini di chiesa.
Hanno il potere di toccare le emozioni delle persone in un modo unico.
Ed io volevo fare lo stesso, riuscire ad emozionare le persone nello stesso modo con quella che era la mia musica, ed il mio strumento era il mio corpo.
Volevo arrivare dove stava arrivando la musica.
É un’energia, un potere che mi impressiona molto e che voglio avere, che sto cercando.

Parlando del tuo spettacolo, come tu hai detto, i tuoi ballerini sono come le tue dita, le tue braccia, e si nota che i loro movimenti sono gli stessi che fai tu.
Come hai raggiunto questo traguardo?

É una cosa che si è verificata con molti dei ballerini con i quali ho iniziato.Viviamo uniti ma è qualcosa che va oltre l’amicizia e la collaborazione, io credo che loro credono nella mia abilità di risolvere ogni loro dubbio e che quando ci confrontiamo sono sicuri che io non sbaglierò e saprò dar loro una risposta.
Sanno che è un lavoro di qualità e che stanno vivendo il loro sogno e che mi stanno aiutando a far emergere il mio sogno, le idee che io ho, che vedo quando ascolto musica.
Loro me lo insegnano dal vivo, io sono il loro primo fan.
Continuo a dir loro di ripetere di nuovo un numero perchè mi piace vederli e perchè mi stanno insegnando quelle che erano idee che fino a quel momento avevo in testa e che sentivo nel mio cuore.

Questa combinazione, ovvero, la fede che hanno verso di me e l’amore che io provo per loro, si trasforma in una sinergia che traspare nella scena.
Proviamo tantissimo ed io gli insegno che c’è sempre qualcosa da imparare.
Quando non sono vicino a quel che vorrei fare e cambio qualcosa loro mi vengono subito dietro.
Sono cose che necessitano di molto lavoro, che richiedono uno sviluppo specifico ma che alla fine possono trasformare i loro sogni (ndr: dei ballerini) in realtà.
E’ una cosa molto forte, c’è amore ma ci sono anche persone che ti aiutano a realizzare i tuoi sogni.

Che ne pensi della vita salsera spagnola rispetto a quella di altri paesi?

La verità è che fino a poco tempo fa io non sapevo che la salsa era così forte al di fuori degli Stati Uniti.
Arrivando qui mi sono reso conto di quante persone si muovano da altri paesi, ad es. dalla Germania.
In primo luogo è davvero impressionante la quantità di gente che è venuta, però con gli anni la qualità, la dedizione, l’amore con il quale abbiamo iniziato ad insegnare hanno avvicinato tante persone a questo ballo e le hanno fatte crescere.
Mi capita spesso di vedere persone che vengono nella mia accademia di New York e che restano a studiare per un mese e poi se ne vanno.
Gli metto a posto la coreografia, tornano a casa e fanno degli spettacoli.
C’è molto amore qui.
Ho detto ai miei ballerini di non preoccuparsi perchè qui siamo come a casa nostra.
Le persone sono venute qui per vederci e non per criticarci.
Non c’è questo spirito.
Per questo ci sentiamo a nostro agio quando veniamo qui, nonostante per noi ogni volta è una sofferenza, perchè si soffre sempre.
Nella danza contemporanea la musica che viene utilizzata di solito non è così ricca di informazioni come quella che utilizziamo noi e che richiede molte prove, però la gente lo apprezza e noi lo sentiamo.
Non servono parole per capire l’apprezzamento del pubblico nel condividere il nostro spettacolo.
Ci sono pochi posti nel mondo dove ho sentito una partecipazione così forte e condivisa.

Puoi parlarci delle tre parti del tuo nuovo spettacolo che è come un musical?

Noi abbiamo realizzato un formato composto da tre parti di mezz’ora l’una.
Ogni parte non è connessa in alcun modo con le altre.
Ogni parte di mezz’ora è un pezzo di arte che vive autonomamente.
In questo modo possiamo alternare i vari pezzi a seconda della serata e della durata dello show.
Esattamente come fanno adesso a New York alcune famose compagnie di ballet come quella di Alvin Ailey, Paul Taylor che sono ballet contemporanei.

Questo è il loro formato attuale.
Ed io volevo coinvolgere le persone abituate a questo tipo di spettacolo artistico e non solo le persone che erano già coinvolte con la musica ed il ballo.
Volevo comunicare al pubblico che questa è un’arte di alta qualità e che Portorico, Cuba e tutti i paesi caraibici hanno una propria arte come il Flamenco in Spagna.
Invece di presentare le solite cose classiche che si vedono di solito, ho preferito far conoscere qualcosa di più tradizionale e legato alla cultura dei nostri paesi però con un elevato tasso tecnico.
E questo è il pubblico che volevamo coinvolgere, al fine di insegnargli quello che stiamo facendo qui.
Il prossimo giugno faremo uno spettacolo a New York per tre serate, dove faremo 4 show di cui uno che faremo il sabato pomeriggio che sarà diverso dagli altri per chi vuol vederne più di uno.
Il nostro progetto è quello di fare un pezzo nuovo di mezz’ora ogni anno, mostrandolo assieme ad altri due precedenti.
L’idea è quella di lasciare qualcosa per le prossime generazioni della compagnia affinchè i giovani che verranno potranno incominciare da queste basi e svilupparle mantenendo un solco con la tradizione.
In questo modo quando saremo stanchi di ballare e vorremo stare dietro le quinte, seduti su una sedia, altri coreografi potranno interpretare queste parti e continuare con la nostra tradizione.
Un po’ come accade con la Monnalisa che è stata disegnata da tanti artisti ognuno con un proprio stile o un pezzo di jazz che ogni musicista può interpretare in modo diverso.
In questo modo daremo la possibilità ai nuovi ballerini di continuare con la tradizione.

Una parte dello spettacolo richiama la tradizione della bomba di Portorico

Si, si…

Però è una bomba con un collegamento alla danza contemporanea

Esatto.

E la musica parlava di afro…

Si.

Che importanza ha per te l’afro?

L’afro rappresenta le fondamenta di tutti i balli che arrivano dai caraibi.
A noi interessa molto la musica ed il ballo che arrivano da Haiti, dalla Repubblica Dominicana, da tutti i caraibi, dalla Martinica, dai caraibi francesi perchè anche li ci sono molti africani.
Ci interessa tutto questo perchè è da lì che sono nate le tradizioni folcloriche di queste isole.
Quello che io voglio insegnare è che questa musica si può rappresentare in una forma libera.
Cerco di far comprendere il modo di sentire le tradizioni anche se il ballo è qualcosa che trascende questo contenitore di cose formali.
Ad esempio le arti marziali vengono insegnate in maniera formale, senza considerare l’aspetto personale.
I maestri insegnano la tecnica in maniera uguale e come dei robot producono arte marziale.
Invece io vorrei che ogni allievo cercasse di trovare la propria interpretazione, la propria espressione.
Vorrei fargli capire che la musica ed i musicisti suonano senza vincoli, sono liberi.
Prendono una bomba e cercano di mischiarla con qualcos’altro in modo da esprimere le proprie idee in maniera diversa.
Anche io con il mio corpo cerco di fare questo, ovvero di interpretare quello che sto ascoltando trasformandolo in movimento.
Mi piace farlo senza limiti, senza che nessuno mi dica “questo si fa così”.
Io capisco chi insegna in maniera formale ma preferisco dare maggiore libertà ai miei allievi.
Le persone cercano nuove religioni, nuove arti, stanno cercando libertà.
Tutto quello che arriva dalle tradizioni e che è strutturato deve essere interiorizzato affinchè non ci sia più bisogno di una struttura.
Non devi essere separato dalla musica e dal ballo perchè sono già dentro di te.
Arriva quel punto in cui le linee si cancellano e senti di poter fare liberamente tutto ciò che vuoi in modo sofisticato.
I tuoi movimenti sono formati ed hanno un loro peso specifico.

In pratica si può dire che tu ed i tuoi ballerini siete liberi di esprimervi in modo diverso ogni volta che vi esibite?

Sì.
Ci sono delle basi da rispettare ma a me piacciono le diverse personalità dei ballerini.
Dicono che i coreografi hanno fortuna se riescono ad ottenere dai propri ballerini il 75% di quello che hanno nella loro mente.
Perchè normalmente i ballerini vengono e apprendono quello che gli stai insegnando adattandolo al proprio corpo con un risultato diverso da quello che tu avevi in mente e a volte il risultato è molto bello.
Ci alleniamo molto ma alla fine ognuno di loro ha un proprio stile e questo mi piace molto, perchè è uno scambio aperto.
Non è che tutti siamo legati ad una struttura, ma è una sorta di improvvisazione coordinata.
Quando faccio una coreografia cerco sempre di farla in modo semplice, cosicchè anche se siamo in una strada questa può venire bene.
Però guarda caso tutti riescono a fare la coreografia in modo omogeneo ma con il proprio stile.
Ognuno ha un proprio colore e questo piace molto agli spettatori che cercano i diversi movimenti dei ballerini e se ne innamorano.
Nel ballet invece ci sono alcuni ballerini che con il proprio carisma e la propria energia, riescono a trasformare la coreografia in modo da stupire lo stesso coreografo.
Io ti lancio un’idea e tu me la restituisci modificata con un tuo stile, creando di fatto qualcosa di diverso e questo aspetto mi incanta.
Mio padre litigava spesso con me perchè lui studiava arti marziali cinesi ed io giapponesi e mi diceva che i cinesi insegnano la persona e non la tecnica, mentre i giapponesi sono molto legati alla tecnica.
Ed io me la prendevo…
Però è così. Ognuno ha un proprio modo di interpretare le cose ed io devo cercare di correggerli in maniera specifica perchè ognuno ha le proprie caratteristiche.
Con il tempo si imparano tutte queste cose e diventa un piacere lavorare con loro e vedere quel che possono darmi delle coreografie che gli sto spiegando.

Che consiglio dai ai ballerini spagnoli affinchè possano avvicinarsi a questo nuovo modo di interpretare il ballo?

Intanto la musica salsa è diventata popolare al grande pubblico ed i musicisti che dovevano lavorare e guadagnare soldi, dovevano conformarsi alla richiesta del pubblico e fu così che iniziarono a produrre dischi di sola salsa.
Però prima, negli anni 60/70 la musica era molto più varia, c’era musica lenta, boleros, bomba, plena, c’era molta varietà.
Adesso registrano dischi con diversi stili di salsa ma sempre e solo salsa.
Ci sono molti gruppi che producono dischi di salsa perchè sanno che venderanno ma non perchè era quel che avrebbero voluto fare.
Insomma c’è molta musica oggi che mettiamo da parte perchè non è salsa (ndr.si riferisce agli altri ritmi) e anche perchè abbiamo paura di applicare quello che sappiamo sulla salsa e della nostra formazione come ballerini a questi ritmi.
Dobbiamo iniziare a lavorare su questi ritmi senza paura, cercando di riempire
i tempi vuoti come un pittore riempie gli spazi bianchi della sua tela.
La mia idea è quella di utilizzare vari tipi di musica.
Ad esempio quando ascolto un’intro che mi piace la metto fra le due canzoni e tutto questo mi permette di creare un’atmosfera.
Non è così difficile, basta che l’impatto non sia troppo forte, pieno di informazioni (ndr.la tecnica della danza) che potrebbero non essere comprese dalle persone che non ballano.

Per fare questo alterno parti forti ad altre più delicate, con transizioni e uscite dal palco, in modo da mantenere viva l’attenzione del pubblico.
Puoi creare delle storie ma non mi riferisco ad una storia letterale con un inizio, uno svolgimento e una fine, quanto a un modo di vivere una storia fatta di emozioni, di movimenti, come in un sogno.
E’ un’esperienza che non ha niente a che vedere con la vita normale, è come entrare dentro a un sogno.
Non avevo più bisogno di fare i Congressi per essere un ballerino di salsa o un ballerino latino.
Volevo dimostrare che c’è un altro modo per essere artisti e che c’è un altro modo per esprimersi e per insegnare alla gente cos’è il ballo, perchè il ballo dei congressi ha già un suo ruolo.
Il mio problema è stato principalmente quello di mantenere viva l’attenzione del pubblico per molto tempo, senza avere musicisti e cantanti che potessero coinvolgerli maggiormente.
Tutto questo mi è costato molti anni di lavoro per trovare il giusto formato, anche se sono sempre stato sicuro di riuscire a farcela.

Puoi dirci quando è nata la tua passione per la danza afro contemporanea?

Mi ricordo che mi avevi parlato di una ballerina haitiana, Katherine Dunham che è stata la più importante ballerina di danza afro contemporanea.
Puoi parlarci dell’influenza che ha avuto per te questa maestra?

Lei ebbe l’opportunità di studiare le radici del ballo africano grazie ad un finanziamento governativo.
Essendo afro-americana desiderava che la sua compagnia di ballo, formata completamente da afro-americani, potesse avere un’impronta legata alle proprie origini africane che gli permettesse di differenziarsi dalle altre compagnie di ballo formate da bianchi americani.
Così studiò per un anno insieme agli africani, vivendo a stretto contatto e apprendendo il loro modo di ballare.
Quando tornò negli Stati Uniti insegnò ai suoi ballerini i movimenti afro e la tecnica per muoversi come loro.
In questo modo a New York si iniziarono a vedere spettacoli di ballet afro americano, che andavano alla ricerca delle radici afro nel rispetto della tradizione classica del ballo.
Questa cosa mi ha fatto riflettere, perchè io ho seguito un percorso diverso, iniziando a studiare le radici per poi appronfondire le tecniche sofisticate per insegnare qualcosa di unico, però di alto livello e non di semplice ballo da sala.
Si tratta di un sistema d’insegnamento che permette agli allievi di raggiungere livelli molto alti che non potrebbero acquisire senza questi esercizi. E’ una mentalità che ho appreso dal karate, quella di esercitarsi quotidianamente e che mi permette di sviluppare tutte le parti del corpo, ad esempio come faceva Papito Jala Jala quando muoveva le gambe.
Dopo aver lasciato il karate, che per me rappresentava una religione, mi sentivo male e per questo motivo ho cercato di mantenere la stessa mentalità al fine di avere il medesimo risultato anche nel ballo.
Grazie a lei (ndr Katherine Dunham) che ha sviluppato tutte queste tecniche legate al ballo afro americano, io ho potuto fare lo stesso con i ballerini di New York che sono sempre alla ricerca di nuove influenze che gli permettano di esprimersi in modo personale.

I tuoi ballerini hanno qualche soprannome particolare?

Certo, oguno di loro ne ha uno.
Aisha è la China, Lori la chiamo Perez, Mary è Blackett.
Ci piace scherzare fra di noi con i nomignoli.

Tu ne hai uno?

Si, mi chiamano Frank Astaire.

Quando sei nato?

Il 25 Settembre del 1975

Dove sei nato?

Queen’s, New York.

Dove vivi?

Sempre lì.

Una canzone preferita?

Mi desengaño di Roberto Roena

Gruppo preferito?

Il Sexteto di Joe Cuba.

Un personaggio?

Ce ne sono tanti…posso dire Jimi Hendrix.

Un hobby?

Mi piace disegnare pupazzetti e disegni per interni (arredamenti).

Un libro?

La tua mente nel ballo (Your mind on dance).

Un posto preferito nel mondo?

Israele.

Un sogno?

Andare in Egitto.

Domanda/considerazione:

Del tuo spettacolo mi hanno impressionato due cose: la prima è che sei stato capace di avvicinare la figura del ballerino allo spettatore.
Perchè tutti noi abbiamo un falso concetto di quello che è un ballerino, che viene visto nello stereotipo dell’inavvicinabile.
Invece tu sei riuscito a rendere possibile che ogni persona potesse identificarsi con ognuno dei ballerini.
A me questa cosa è piaciuta molto, in particolare mi è piaciuto quando hai presentato ognuno di loro e si è visto che il pubblico era molto coinvolto.

E’ un po’ come se ognuno di noi potesse salire su quel palco e per questo motivo ti voglio ringraziare.

I saluti di Frankie Martinez a Lasalsavive.org

Intervista a Olinto Medina direttore musicale del Sexteto Juventud

di Alfredo Churión.
realizzato nel mese di Ottobre del 2007

traduzione a cura della Redazione LaSalsaVive


Sexteto Juventud

Il Sexteto Juventud

Pionieri della salsa brava: “Ci sono molti musicisti che dicono che fummo noi ad intraprendere il cammino”. Ascoltandoli suonare dal vivo è difficile immaginare che questi signori abbiano già 45 anni di attività alle spalle, giacchè il loro stile continua ad essere invariato da quando cominciarono: lo stile di quei gruppi di ragazzi di quartiere (barrio) che cantano in qualsiasi strada.

Questo è il Sexteto Juventud, una vera istituzione nazionale che – a suo modo – definì uno stile diverso di fare salsa.
A tal proposito conversiamo con il loro direttore musicale e fondatore: Olinto Medina.

Alfredo: Olinto, quest’anno il Sexteto ha compiuto 45 anni.

Olinto: “Effettivamente è così. Lo formammo parecchio tempo fa, il 13 maggio del 1962 con il nome Conjunto Rítmico Juventud. Eravamo un gruppo di amici che vivevano nel bloque 44 del quartiere 23 de Enero a Caracas.
Avevamo la stessa passione per la musica e per lo sport, nel gruppo di amici c’erano i fratelli Carlos e Marco Tulio Crocker, mio fratello Juan, Arturo López, Isaías, Alfredo Arraiz ed io.

L’orchestra non aveva ancora una composizione definita anche perchè non c’era molta esperienza ed io cercavo musicisti che potevano adattarsi a quel che stavamo facendo.
Grazie a Dio i ragazzi riuscirono ad adattarsi, anche se per vari motivi con il tempo alcuni di loro si ritirarono, il tutto coincise con l’arrivo nell’orchestra di Tabaco e di suo fratello Cruz, insieme a Pablo. Dell’orchestra originale siamo rimasti in quattro.”

Carlos Quintana Tabaco & Sus Metales “Una Sola Bandera”

AC: Quale influenza musicale avevate a quell’epoca?

OM: “Io credo che in Venezuela non avessimo alcuna influenza musicale perchè per noi che venivamo dal barrio (quartieri poveri) era impossibile andare a vedere i concerti di orchestre come quella di Luís Alfonso, l’orchestra Billos e quella dei Los Hermanos Belisario, pertanto non potevamo trarre alcuna conoscenza dalla loro musica.
Però arrivava molta musica cubana come quella della Sonora (Matancera),della Aragón e dei sestetti che suonavano là.
Successivamente si iniziò a sentire la salsa messicana, che era diversa dalla nostra, ma faceva parte della stessa corrente caraibica.
Negli stessi anni sessanta si ascoltava il Sexteto La Playa con Tito Rodríguez e noi seguivamo questa corrente nonostante non avessimo avuto un contatto diretto, però sapevamo che qualcosa sarebbe accaduto perchè piacevano molto alla gente”.

AC: Arriva un momento in cui voi iniziate a fare una fusione fra la musica tradizionale cubana con generi emergenti come il Rock.

OM: “Il buon latino che conosce le proprie radici sa che quando un gruppo si avvicina a queste correnti le deve assimilare. Questo è stato quel che ho fatto: cercare prima la sintonia del sestetto e successivamente trovare poco alla volta lo stile, cosa che alla fine è accaduta. Uno stile che non assomigliava a nessun’altro, non so se questo dipendesse dalla creatività delle canzoni che facevamo o dalla strumentazione che è diventata un’icona della nostra musica.”

AC: Quale fu la reazione della gente quando cominciaste a suonare?

OM: “Mi ricordo che quando facevamo le prove nei corridoi del palazzo qualcuno si lamentava, però si vedeva già che esisteva un carisma fra i membri del gruppo. Eravamo gente umile, sana, nessun vizio, nessun malinteso”. Con il tempo si creò un regolamento d’accordo con quelli che mi volevano come leader. Anche se non ci crederete, in quell’epoca suonavamo per molte feste da ballo nell’est di Caracas ed io credo che questi inizi furono la nostra grande scuola.

Guasanco
Mala

AC: Quale fu il primo grande successo del Sexteto?

OM: “Fu una canzone che registrammo nel 1967 quando Caracas compì 400 anni: “Guasancó”, la nostra prima registrazione di un disco a 45 giri. Dopo ci furono canzoni come “Mala”, “Caramelo y Chocolate”, “La Cárcel”, “Mi Calvario” e molte altre ancora, tutte canzoni realizzate dal gruppo, perchè questa è sempre stata la mia convinzione”.

AC: Però è indubbio che l’ingresso nel gruppo di Carlos “Tabaco” Quintana fu un fattore di grande influenza nel trionfo del Sexteto Juventud. Lo snello e ricordato cantante si mise in luce per meriti propri, come uno dei principali musicisti e soneros del Venezuela.

Mas Guasanco
La Juventud se impone

AC: Parlami di Tabaco.

OM: “Tabaco fu un vero fenomeno. Io lo considero così. Aveva un dono speciale per tutta la parte ritmica ed anche se iniziò a cantare in modo del tutto casuale, fu una vera rivelazione in questo stesso campo.
E pensare che non sapeva nemmeno cosa fosse un tono, una croma nè niente di musica. Senza contare la sua creatività come autore di testi. Quando io iniziai a vedere le sue composizioni gli chiesi che fosse lui stesso a cantarle affinchè si sentisse più sicuro”.

Tabaco y su Sexteto

Tabaco y su Sexteto

AC: “La Cárcel”, una delle composizioni emblematiche del gruppo, fu realizzata in collaborazione fra i componenti dell’orchestra a causa di una spiacevole situazione della quale Olinto preferisce non dare maggiori dettagli. Quando si andò a registrare la canzone, si vide come questa non era ben fatta e si dovette adattarla al suono del Sexteto. La stessa cosa successe con “Mi Calvario” e curiosamente entrambe le canzoni sono diventate punti chiave della carriera del gruppo. Però secondo Olinto “queste furono situazioni non di casualità, ma di fortuna. Una fortuna può presentarsi a qualsiasi gruppo”.

AC: In questi 45 anni di carriera, fra gli artisti con cui ha collaborato, chi ricorda con maggior piacere?

OM: “Dei gruppi con i quali ci siamo alternati, quello che mi ha lasciato i più bei ricordi è la Sonora Matancera. Imparai molto da loro. Non me lo insegnarono direttamente, però io li osservavo e cominciai a farmi influenzare dalla loro disciplina e mistica. Grazie a questo hanno continuato a suonare insieme per sessant’anni e questo non è affatto facile. Per lo stesso motivo il Sexteto è ancora attivo. Aver avuto l’opportunità di stare al fianco di un gruppo con questa storia, ha rappresentato un motivo di grande orgoglio per tutti noi”.

La Sonora Matancera: “Jancito Trucupey”

AC: Come avete fatto ad evitare di cadere nelle sonorità di Joe Cuba, dato che in quel periodo dettavano legge?

OM: “Strutturalmente non avremmo mai potuto cadere in quelle sonorità, anche perchè le strumentazioni erano completamente diverse. Però i sestetti si caratterizzano molto per gli incisi, per gli arrangiamenti nelle canzoni e per affidarsi maggiormente al ritmo rispetto ad una grande orchestra. Gli arrangiamenti che facevamo ovviamente avevano l’orientamento di quelli di Joe Cuba, però non erano imitazioni. I suoi arrangiamenti avevano una tecnica molto complessa e noi li facevamo, però secondo un nostro stile…e questo diede i suoi risultati”.

Olinto Medina, Direttore e Fondatore del Sexteto Juventud. Foto di Alfredo Churión D.

Olinto Medina, Direttore e Fondatore del Sexteto Juventud. Foto di Alfredo Churión D.

AC: Pensa di poter dire che il Sexteto Juventud ha creato influenze in altri gruppi venezuelani?

OM: “Sì, sì, sì! In quell’epoca c’era un boom della musica latina e le case discografiche volevano registrare tutto quel che si presentava in quello stile. E dato che noi eravamo quelli che avevano maggior successo in quel periodo, i produttori obbligavano i propri artisti a suonare con il nostro stile. Fu così che nacquero gruppi come il Sexteto Caracas, Príncipe Y Su Sexteto e molti altri ancora. Però nessuno di loro riuscì a ottenere un suono come il nostro. Senza contare che ci sono molti musicisti che affermano che fummo noi ad intraprendere il cammino”.

AC: Come si spiega che dopo tanto tempo senza registrare il Sexteto Juventud continua a lavorare tantissimo e a riempire i locali dove si esibisce?

OM: “Noi abbiamo registrato più di 300 canzoni, oltre il 90% di queste sono originali. E fra queste, una quindicina sono grandi successi. Però bisogna vedere il contenuto delle altre canzoni. Il messaggio dei testi era legato a tematiche del popolo ed in quell’epoca arrivò sia ai giovani che agli adulti. Oggi sta accadendo di nuovo. I giovani ci cercano perchè non ci avevano visto. Io non dico che siamo un fenomeno, però la verità è che qualcosa sta succedendo”.

Olinto Medina insieme a Carlín Rodríguez. Foto di Alfredo Churión D. D.

Olinto Medina insieme a Carlín Rodríguez. Foto di Alfredo Churión D.

AC: Come vede le correnti musicali di oggi? Il reggaeton e la salsa che si fa oggi?

OM: “La verità è che questi generi non li raccomando a nessuno, specialmente ai giovani che hanno tutto il diritto di poter ascoltare e apprezzare la musica attuale, ma che non devono essere obbligati ad ascoltare solo queste sonorità perchè nessuno gli propone quel che noi abbiamo vissuto ai nostri tempi. Quelle orchestre dal vivo…quei festival con musicisti che suonavano davvero. Il reggaeton è musica di un volume così alto da far sballare qualsiasi persona che l’ascolti, ed io non penso che da questo genere si possa imparare qualcosa. Però lo rispettiamo”.

AC: E come per far capire che la sua non è un’attitudine contraria alla musica pop, ricorda l’epoca in cui sorsero i gruppi giovanili in Venezuela. Gente come Trino y Henry, oggi suoi grandi amici. Olinto aveva capito che la salsa stava cominciando a calare quando ci fu questa crescita del pop e decise di iniziare a sperimentare. E così, nonostante l’avversione del presidente della sua casa discografica, nacque un grande successo come “Caramelo y Chocolate”.

Il Sexteto Juventud ha presentato la sua arte in tutte le isole dei Caraibi, in Colombia, Italia, Puerto Rico e Messico, anche se il direttore del gruppo pensa che, nelle attuali condizioni, sia molto difficile per i musicisti venezuelani uscire dal paese: “Ci pongono una serie di condizioni diverse da quelle che noi abbiamo qui. Se tu chiedi in Messico o in Italia quello che guadagni qui, o un poco di più, ti fanno delle obiezioni. Intendo dire che un hotel o un biglietto aereo per la Spagna o per il Messico costano soldi, però loro chiedono che dei sette musicisti che siamo ne vadano solo tre e questo non è quel che vogliamo. Qui i musicisti hanno dovuto emigrare rischiando in prima persona”.

El Sexteto Juventud nel 1967. Olinto Medina (fundatore), basso; Carlos Quintana, batteria e voce; Rómulo Robaina, tumbadora; Juan M. Sánchez, chitarra elettrica; Pablo Erasmo Alvarez, guiro; Cruz Armando Quintana bongó e Oscar Mijares, voce principale. Foto di Gherson Maldonado.

El Sexteto Juventud nel 1967.
Olinto Medina (fondatore), basso; Carlos Quintana, batteria e voce; Rómulo Robaina, tumbadora; Juan M. Sánchez, chitarra elettrica; Pablo Erasmo Alvarez, guiro; Cruz Armando Quintana bongó e Oscar Mijares, voce principale.
Foto di Gherson Maldonado.

Il Sexteto diventa a 10 musicisti

Il Sexteto diventa a 10 musicisti.Foto di Gherson Maldonado.
Il Sexteto con il suo autentico sabor

Il Sexteto con il suo autentico sabor.


Olinto Medina, Direttore e fondatore; José Gómez, piano; Juan Sánchez, tres; Narciso Y. Drogo, basso; Javier Plaza, tumbadora; Ángel Utrera, bongó ed Erasmo Machado, cantante.
Foto di Gherson Maldonado.

Enrique Iriarte, piano, Olinto Medina, direttore e Nelson Navas cantante.

Enrique Iriarte, piano, Olinto Medina, direttore e Nelson Navas cantante.Foto di Gherson Maldonado.
Olinto Medina, l'animatore della Fiera dell'Allegria Henry Altuve, il timbalero Alfredo Francheski “Cutuflá” ed il vocalista Nelson Navas. Foto de Gherson Maldonado.

Olinto Medina, l’animatore della Fiera dell’Allegria Henry Altuve, il timbalero Alfredo Francheski “Cutuflá” ed il vocalista Nelson Navas. Foto de Gherson Maldonado.
Olinto Medina insieme allo scomparso dj della radio Phidias Danilo Escalona.Foto de Gherson Maldonado.

Olinto Medina insieme allo scomparso dj della radio Phidias Danilo Escalona.Foto de Gherson Maldonado.

Vai alla discografia del Sexteto Juventud

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Pioneros de la salsa brava: “hay muchos músicos que dicen que nosotros fuimos los que abrimos el camino”.
Oyéndolos tocar en vivo es difícil imaginar que estos señores tengan 45 años en el candelero ya que su estilo sigue siendo aquel que no ha variado desde sus inicios: el que emula la presencia de un grupo de jóvenes de barrio cantando en cualquier esquina. Es el Sexteto Juventud, una verdadera institución nacional que- a su manera- definió una forma diferente de hacer salsa. Conversamos con su director y fundador Olinto Medina.

“Olinto: este año el sexteto cumplió ya 45 años de edad”

“Efectivamente. Lo formamos un día de la madre, un 13 de mayo del año 1962 bajo el nombre de Conjunto Rítmico Juventud un grupo de amigos en el bloque 44 de la urbanización 23 de Enero en Caracas.

Compartíamos la música y los deportes y allí estaban los hermanos Carlos y Marco Tulio Crocker, mi hermano Juan, Arturo López, Isaías, Alfredo Arraiz y yo, pero en ese tiempo no había un personal definido aún porque no había experiencia y yo buscaba a quienes pudieran adaptarse a lo que estábamos haciendo. Gracias a Dios los que estuvieron allí se adaptaron, pero por otras razones al tiempo algunos de ellos se retiraron y es cuando llegan Tabaco y su hermano Cruz junto a Pablo. De los originales quedamos cuatro vivos”.

“¿Qué influencias musicales tenían en aquella época?”.

“Yo creo que del país no existía ninguna influencia porque los accesos a las orquestas como Luís Alfonso, la Billos y los Hermanos Belisario no existían para nosotros porque veníamos del barrio. Por lo tanto no podíamos sacar conocimiento de ellos. Pero si nos llegaba mucha música cubana como la Sonora, la Aragón y los sextetos de allá. Después se empezó a meter la salsa mexicana, diferente a la nuestra, pero de las mismas corrientes caribeñas. En los mismos años 60 se mete el Sexteto La Playa con Tito Rodríguez y nosotros buscábamos esa referencia sin conocimiento alguno, pero sabíamos que algo había ahí porque le gustaba mucho a la gente”.

“Llega un momento en que ustedes hacen una mezcla de la música tradicional cubana con cosas que venían pasando como el rock”.

“El buen latino conocedor de sus propias raíces sabe que cuando un grupo se ajusta a esas corrientes él lo acepta. Eso fue lo que yo hice: ajustar primero el acople del sexteto y después buscar poco a poco el estilo que al fin quedó. Un estilo que no se parece a ningún otro, no se si será por la creatividad de las piezas que hicimos o por la instrumentación que quedó ahí como un icono”.

“¿Cómo era la reacción de la gente cuando comenzaron?”.

“Al principio molestábamos mucho en los pasillos del bloque cuando ensayábamos, pero ya se veía que existía un carisma en los integrantes. Éramos gente humilde, sana, cero vicios y cero malentendidos. Poco a poco se fue creando un reglamento de acuerdo a lo que me exigían a mí. Aunque no lo creas, en esa época amenizábamos muchos bailes en el este de caracas y yo creo que esos inicios fueron nuestra gran escuela”.

“¿Cuál fue el primer éxito grande del Sexteto?”.

“En el disco fue un tema que grabamos en el 67 cuando Caracas cumplió 400 años. “Guasancó”, nuestra primera grabación en disco de 45. Después vinieron “Mala”, “Caramelo y Chocolate”, “La Cárcel”, “Mi Calvario” y muchas más, todas creaciones del grupo porque esa siempre fue mi insistencia”.

Pero indudablemente la entrada al grupo de Carlos “Tabaco” Quintana fue un factor de gran influencia en su triunfo. El espigado y recordado cantante llegó a destacar por derecho propio como uno de los grandes músicos y soneros de Venezuela.

“Háblame de Tabaco”.

“Tabaco fue un verdadero fenómeno. Yo lo considero así. Tenía un don especial para toda la parte rítmica y, aunque entra al canto en forma verdaderamente accidental, fue una verdadera revelación en este campo. Y eso que no conocía ni lo que era un tono ni una corchea ni nada de música. Sin contar con su creatividad como letrista. Cuando yo comencé a ver sus composiciones le pedí que las cantara el mismo para que se sintiera más seguro”.

“La Cárcel”, una de las composiciones emblemáticas del grupo fue compuesta en colaboración entre sus miembros por una desagradable situación acaecida de la cual Olinto no brinda mayores detalles. Cuando fueron a grabar el tema, este no estaba bien hecho y hubo que adaptarla al sistema del sexteto. Lo mismo sucedió con “Mi Calvario” y curiosamente ambos números se han convertido en emblemáticos dentro de la carrera del grupo. Pero para Olinto “esas fueron situaciones no de casualidad, sino de suerte. Una suerte que se le puede presentar a cualquier grupo”.

“En estos 45 años ¿con que artista recuerdas con más cariño el haber compartido?”.

“De los grupos con que alternamos el que recuerdo con más cariño es a la Sonora Matancera. Aprendí mucho de ellos. No me lo enseñaron directamente, pero yo los observaba y comencé a regirme por su disciplina, por su mística. Una gente que ha durado 60 años juntos, lo que no es nada fácil. Y ese es el caso del sexteto. Entonces, pararnos al lado de un grupo con ese historial tiene que haber sido un orgullo para nosotros”.

“¿Cómo hicieron para evitar caer en el sonido de Joe Cuba que era él que mandaba en la época?”.

“Estructuralmente no íbamos a caer nunca en su sonido porque las instrumentaciones son completamente distintas. Pero los sextetos se caracterizan mucho por hacer intermedios y cortes en las piezas y por afincar más en el ritmo que lo que lo hace una orquesta grande. Los cortes que hacíamos obviamente tenían la orientación de los de Joe Cuba, pero no eran imitación. Sus cortes traían una tecnificación muy dura y nosotros lo hacíamos pero a nuestra manera… y nos dio resultados”.

“¿Sientes que el Sexteto Juventud ha creado influencia en otras agrupaciones venezolanas?”.

“¡Si, si, si! En aquella época había un boom de la música latina y los sellos disqueros querían grabar a todo el que se le presentara en el estilo. Y como nosotros éramos los que estábamos pegados en ese momento los productores obligaban a sus artistas a tocar como nosotros. Salieron grupos como el sexteto caracas, Príncipe y su sexteto y varios más. Pero el truco que teníamos nosotros no lo logró ninguno de ellos. Y hay muchos músicos que dicen que nosotros fuimos los que abrimos el camino”.

“¿Cómo se explica que después de tanto tiempo sin grabar el Sexteto siga trabajando muchísimo y metiendo tanta gente en sus presentaciones?”.

“Nosotros tenemos más de 300 composiciones grabadas, más del 90 por ciento originales. Y de esos temas hay 12 0 15 hits. Pero hay que ver el contenido del resto de los temas. El mensaje de las letras es muy de pueblo y en aquella época le llegó a los jóvenes y a los adultos. Hoy en día está pasando lo mismo. Los muchachos jóvenes nos buscan porque ellos no nos vieron. Yo no digo que seamos un fenómeno, pero la verdad es que algo pasa”.

“¿Cómo ves las corrientes musicales de hoy en día? El reggetón y la salsa que se hace ahora”

“La verdad es que eso si no se lo recomiendo a nadie, en especial a los jóvenes, que si es verdad que tienen derecho a oírlo y ¿Porqué no? a gustarle, pero no deben abocarse a eso solamente porque allí no hay nada de lo que vimos nosotros. Aquellas orquestas en vivo… aquellos festivales con músicos tocando de verdad. El reggetón es música de volumen como para volver loco a cualquiera y yo no pienso que de él se pueda aprender algo. Eso sí, lo respetamos”.

Y como para que quede claro que lo de él no es una actitud en contra de la música pop, recuerda la época en que surgen los grupos juveniles en Venezuela. Gente como Trino y Henry, hoy sus grandes amigos.

Olinto percibió que la salsa comenzaba a tener un bajón gracias a esa avanzada pop y decidió comenzar a experimentar. Y así, a pesar de la animadversión del presidente de su sello nació otro hit como lo fue “Caramelo y Chocolate”.

El sexteto Juventud ha presentado su arte en todas las islas del caribe, en Colombia, Italia, Puerto Rico y México, aunque el director del grupo piensa que en las actuales condiciones es difícil para el músico venezolano salir del país: “Nos ponen una serie de condiciones distintas a las que nosotros cumplimos aquí. Si tú pides en México o Italia lo que ganas aquí, o un poquito más, te le ponen objeciones. Entiendo que un hotel o un pasaje para España o México cuestan plata, pero ellos piden que de los siete músicos que somos vayan solo tres y esa no es la idea. Aquí el músico ha tenido que emigrar bajo su propio riesgo”.

Articolo tratto da www.herencialatina.com