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Grazie all’impegno di Tommy Salsero ed altri preziosissimi collaboratori come Tato Conrad siamo in grado di fornirvi materiale interessantissimo riguardo alla storia ed alle tradizioni dei generi che tanto amiamo.
BUONA LETTURA!

THE LATIN SOUL & LATIN FUNK: The Soul of Latin Music

Latin Soul – Parte 1

di Tommy Salsero

Prologo

Se dovessi descrivere il Latin Soul in due parole, lo definirei come una fusione tra due culture musicali: quella Afrolatina e quella Afroamericana.
La nostra storia inizia nei primi del novecento, quando i primi immigrati “latini” arrivarono negli Stati Uniti. Il primo incontro fu proprio agli albori del Blues e del Jazz. Questo incontro è comunemente definito nella storiografia del jazz come “The Latin Tinge” (in italiano possiamo tradurlo come “la tinta latina”)che risale appunto agli inizi del secolo. Questa parte importantissima, sarà approfondita nella storia del Latin Jazz.
Ricordo che questo è il primo dei tre capitoli che compongono l’intero articolo, e che alla fine del terzo capitolo saranno riportate le varie fonti da cui ho attinte le notizie dell’epoca e la bibliografia completa.
Buona lettura.


PARTE UNO: Le origini del Latin Soul

Uno dei generi musicali più interessanti e importanti, precursore della musica latina di oggi, è sicuramente quello del Latin Soul.
Assieme al Latin Funk, quest’ultimo più strumentale e vicino al genere Funk-jazz anni 70, è diventato oggi motivo di studio da parte di molti musicologi, e di ricerca da parte di molti collezionisti di dischi e Dj.
All’interno di questo “multi genere” troviamo alcune etichette come il Latin Boogaloo, lo Shing A Ling, il Wobble Cha,l’Afroloo e tanti altri: ma di cosa si tratta?
E’ una fusione di ritmi africani, portoricani e cubani, come Makossa, Afro 6/8, Pata Pata, Jala Jala, Guajira-Son, Son Montuno, Cha Cha Cha, con quelli afroamericani come il Rhythm and Blues, il jazz, il Soul, il Boogaloo e il Funk.
Il genere conta moltissimi artisti in gran parte portoricani e newricans che vivevano tra lo Spanish Harlem, più precisamente nell’ East Harlem, zona conosciuta anche come “el barrio” e nella parte sud del Bronx, quartiere che invece era abitato nella parte nord dalla grande comunità afroamericana, oggi patria dell’Hip Hop.

Nonostante le due la grandi comunità (quella portoricana e quella afroamericana) non fossero mai andate troppo d’accordo, queste si erano comunque frequentate ballando negli stessi locali a cominciare in particolar modo dalla fine degli anni 40, grazie all’incontro tra il jazz e la musica afrocubana: il “Cu Bop“.
I musicisti avevano intuito la grande origine che entrambe le comunità avevano in comune: l’Africa.
Come sempre i musicisti si lasciano influenzare da tutti i tipi di musica anche quelli più distanti, e non a caso il primo hit del genere conosciuto come “Latin Boogaloo“, il celebre Bang Bang di Joe Cuba, vide la luce nel 1965 in un locale dove suonavano in genere band portoricane per un pubblico di afroamericani: il Palm Gardens ballroom.
Con questo brano si aprono le porte al Latin Soul che dominerà fino alla fine degli anni 60 le classifiche della musica latina, con un grande successo anche in Sud America e che genererà negli anni 70 il Boogaloo colombiano, nella città di Cali.

Ma per cominciare dall’inizio dobbiamo tornare indietro agli anni 40. La musica dello Spanish Harlem ribolliva di ritmi latini, generalmente cubani e portoricani, insieme al Blues al Jazz e ai grandi cantanti americani come Nat King Cole, Billy Eckstine, Frank Sinatra o Bing Crosby che facevano tendenza nei giovani latini.
Molta importanza ebbe la trasmissione radiofonica “Battle of the Baritones” del 1942 dove gli ascoltatori telefonando, votavano il loro cantante preferito. Il grande Nat King Cole era ad esempio l’idolo di Jimmy Sabater.
Questo decennio vide anche la diffusione dello Spanglish, una sorta di dialetto nato nella comunità portoricana fondendo il castigliano con l’inglese, e che diventerà parte integrante del lessico del Latin Soul.

Un evento importante e decisivo avvenne quando alcuni musicisti afroamericani, tra cui Charlie Parker e Dizzie Gillespie influenzati dalla musica Afrocubana di Mauro Bauzà e Machito,

crearono nel 1947 il Cu Bop, fusione di ritmi come il Mambo e la Rumba con la musica Jazz “Be Bop“, dando vita al genere musicale che negli anni 60 grazie al boom della Bossa Nova brasiliana,venne ribattezzato Latin jazz, un’etichetta più corretta per via dell’inclusioni di altri ritmi latinoamericani come Samba, Bossa Nova, Tango, Joropo, Bomba,etc.

Un cambio importante ci sarà a partire dal 1952, quando Willie Torres e Nick Jimenez incisero il primo pezzo di successo in lingua inglese tra la comunità latina (precedentemente il portoricano Pupi Campo nel 1947 aveva registrato una Guaracha in inglese chiamata Mary Ann), il Mambo I’ve Got You Under My Skin.
Sempre nel 1952 Tito Puente incise per la Tico Records il brano Tonight I am in Heaven cantata in inglese dalle “Castro Sister” lanciando una moda che ripresero anche Machito ed Josè Curbelo assieme ad altre Big Band dell’epoca.
Ma furono Willie Torres e Nick Jiménez, (in futuro entrambi suoneranno nella formazione di Joe Cuba come come cantante e pianista) che registrarono i primi grandi successi con pezzi latini in lingua inglese, tra cui si distinsero oltre alla già citata I’ ve Got You Under My Skin, la celebre Mambo of the Times, e la stupenda ballad To Be With You, (incisa successivamente anche da Joe Cuba)che divenne il piu’ importante successo discografico e la prima canzone latina in inglese ad essere accettata da entrambe le culture presenti a New York.

The Castro Singers
The Castro Singers

In quel periodo erano molti gli artisti latini che suonavano musica americana: in particolare Doo Wop e Rock, come Tony Rojas, Bobby Marín, Tony Pabon o Fernando Rivera, noto con lo pseudonimo di King Nando.

Molti di loro cominciarono a fondere le due tradizioni, come i “The Drifters” o King Nando, che ammise di aver latinizzato i suoi arrangiamenti musicali di R&B e Doo Wop, dopo aver ascoltato Tito Rodriguez al Palladium nel 1959.
Tra l’altro, alcuni gruppi arrivati da Puerto Rico avevano avuto un grande successo nei generi doo-wop, rock-and-roll e R&B, come gli Harptones o i Teenagers, o come il grande Johnny Colón che si era formato proprio con una band di Doo-Wop, i “The Sunset”, prima di diventare uno dei più importanti musicisti sia di Boogaloo, con Boogaloo Blues che di salsa con Merecumbè.

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El Gran Combo de Puerto Rico

I formati orchestrali nella Salsa

di Tommy Salsero

Da sempre i ritmi e i generi latini si sono sviluppati anche alla parallela evoluzione dei formati musicali, ovvero la combinazione di musicisti e strumenti in base allo stile suonato.

Un tempo, almeno fino agli anni 50, ogni formato musicale veniva rispettato anche se ogni gruppo lo personalizzava cambiando o sostituendo un dato strumento, per cui si sentivano realmente delle differenze marcate, poi, dagli anni 60 in avanti, le cose cambiarono.
Ma iniziamo dal principio e nella seconda parte vedremo anche gli esempi dell’ evoluzione musicale.

El Gran Combo de Puerto Rico
El Gran Combo de Puerto Rico

I tipi di orchestre si dividono per numero di musicisti e strumentazione impiegati.
E’ stata un’ evoluzione continua dai primi trovadores che giravano di paese in paese fino alle sofisticate orchestre degli anni 50.
Dai formati più semplici come Duo, Trio e Cuarteto, si è passati al Quinteto, Sexteto, Septeto e Conjunto (ovvero più di 7 musicisti) fino al Combo.
Poi ci sono le orchestre: l’Orquesta Tipica, la Charanga e la Big Band.
Ma andiamo a vedere qualche esempio.

DUO:
Uno dei più importanti e celebri duo è quello dei Los Compadres, ovvero Francisco Repilado alias Compay Segundo, al tres e seconda voce e Lorenzo Hierrezuelo, alias Compay Primo, prima voce e chitarra.
Il nome dei Los Compadres fu anche ripreso da J.Pacheco e Pete El Conde Rodriguez ai tempi della Fania per il titolo di un disco.
Compay Segundo diventerà poi immensamente popolare gazie al progetto Buena Vista Social Club.

TRIO:
Un trio fondamentale per la diffusione del Son e del Bolero composto da 3 voci, chitarra,tres, maracas e clave è il Trio Matamoros.

CUARTETO:
Si aggiunge un altro strumento, alcuni usano i Bongos, altri la classica Botija, utilizzata in funzione di basso.
Altro strumento caratteristico di quel periodo di origine africana, era la Marìmbula, utilizzato sempre in funzione di basso.
Antonio Machin rese celebre il son negli stati Uniti nei primi anni 30, sia con l’orchestra di Don Azpiazu che con il suo Cuarteto.

QUINTETO:

Formazione estremamente variabile per il quinto musicista. In questo video un gruppo contemporaneo di Son formato da chitarra, tres, bongos, contrabbasso, maracas e voce.

SEXTETO:
Aumentando il numero di musicisti era possibile arricchire la sezione ritmica, così si arriva al Sexteto, che è stata una delle formazioni più utilizzate all’epoca negli anni 20, composto da chitarra, tres, contrabbasso o marimbula, bongos, maracas e clave.

Al Sexteto (in italiano sestetto) si deve l’incorporazione nel Son della Tumbadora da parte di Vidal Benitez, conguero del Sexteto Afrocuba di Santos Ramirez, strumento che poi sarà popolarizzato dal Conjunto di Arsenio Rodriguez.
Anche i Timbales vennero utilizzati in una formazione sonera da Manuel Sanchez nel 1924, strumento invece tipico delle Charangas.
Tantissimi sono i Sextetos a Cuba e nei caraibi come il Sexteto Habanero, Sexteto Oriental, Sexteto Occidente, Sexteto Boloña, ecc.ecc.

A Portorico diventa popolare il celebre Sexteto Borinquen del grande Mario Hernandez.

SEPTETO:
Nel 1927 nasce il Sexteto Nacional e di lì a pochi mesi con l’arrivo del trombettista Lazaro Herrera, diventa il celebre Septeto Nacional, del grande contrabbassista e compositore Ignacio Pineiro.
La tromba aggiunse colore e la possibilità di fare assoli, del resto era ispirata al grande Luis Armstrong!

In questo video la formazione è allargata ad otto musicisti con due chitarristi:

CONJUNTO:
Il Conjunto è una formazione che comprende da 8 a 14 musicisti (il numero non è rigido e varia da conjunto a conjunto).
Questo è in assoluto il formato più popolare ancora oggi.
Arsenio Rodriguez rese celebre questo formato, aggiungendo nel 1940 al formato del septeto tradizionale, una seconda tromba (3 dal 1949), una tumbadora e un pianoforte!
Questo formato rivoluzionerà completamente la scena musicale.

La risposta al Conjunto di Arsenio, arriverà dal Conjunto Casino, formazione con maggiori influenze jazzistiche e che porterà a tre il numero di trombe(4 a partire dal 1954), aumento necessario per le armonie più sofisticate e che influenzeranno anche il grande Papo Lucca.

Assieme a loro, la Sonora più celebre di Cuba (con questo termine venivano chiamati generalmente i gruppi o Conjuntos con solo trombe) e che rivoluzionerà l’arrangiamento musicale con le due trombe, è la Sonora Matancera!
Questo gruppo è accreditato come il primo ad usare i timbales nel formato Conjunto, in realtà Manuel Sanchez, timbalero della Sonora li utilizzò a partire dal 1924 già dal Sexteto.

A Portorico il 1954 fu un anno strepitoso, nacque il Conjunto più importante, la Sonora Poncena fondata da Enrique “Quique” Lucca, papà del famoso pianista Papo.

Simile al Conjunto, un altro formato importante è il Combo.
Il Combo è la versione portoricana (in pratica un piccolo Conjunto) delle Combinactions nord americane, dove la formazione vede un musicista per strumento, quindi un sax, una tromba, una chitarra, un piano, un basso, una percussione, una batteria, ecc.ecc.

Questo formato era perfetto per i piccoli night club che non potevano permettersi un’orchestra più grande.
Alla fine degli anni 50, il Combo diventa celebre anche a Cuba.

IL COMBO:

Fine prima parte

Ereditá transculturale nella musica dei caraibi

di María Teresa Linares

Traduzione di Max Chevere e Silly

Dopo cinque secoli di presenza ispanica in America, il risultato di un largo e costante processo di transculturazione ci offre oggi un panorama musicale caraibico molto ampio che ci unisce coinvolgendoci, un processo che a volte ci permette di riconoscere addirittura la nostra immagine identitaria. In questa immagine sono presenti gli elementi culturali delle radici aborigene, quelli delle culture di dominazione e gli apporti della radice africana arrivati sull’isola (ndr Cuba) tramite la tratta degli schiavi.

Affinchè si potesse scatenare questo processo, era necessario uno scontro tra culture che avrebbe permesso agli elementi più significativi di essere assimilati, facendoli sommare ad altri elementi che avrebbero mantenuto il loro vigore, la propria funzione specifica dentro il gruppo, i propri connotati originari. Questo comporta l’eliminazione naturale dell’obsoleto, delle cose superate, e pertanto sostituibili. Il nuovo prodotto culturale, arricchito con le nuove funzioni, sarà accettato dai gruppi più progressisti, mentre altri gruppi (che possiamo definire conservatori) rimarranno legati alle proprie tradizioni.

Nella storia dell’umanità abbiamo visto la sostituzione del coltello di pietra con quello di ferro che offriva maggiore precisione nella sua funzione primaria, quella di tagliare, cosa senza dubbio molto utile durante i riti tribali.
Nella musica assisitiamo costantemente a come si evolvono o cambiano gli strumenti, gli stili, i modi di fare ma anche a come rimangono sempre alcune basi, precedenti, come elementi di tradizione, anche se passati di moda, in ambienti dove la tradizione si è radicata.

Questo processo è anche ricco di valori, è stabile e duraturo. Quando non viene conservato alcun elemento antecedente si perdono le proprie radici, il filo conduttore; l’elemento identificativo stabile è quello che da vita e ragion d’essere.
Gli elementi mutevoli, innovatori, possono arrivare a stabilizzarsi, o meglio, a scomparire perchè privi dei valori che gli avrebbero assicurato la propria permanenza. Un altro fattore importante sarà la rivalorizzazione degli elementi tradizionali che, una volta tornati in auge, si arricchiranno di alcuni contenuti assimilati durante il loro percorso.

Ci sono molti fattori che determineranno la transculturazione. Un punto chiave è costituito dalle relazioni di produzione e dalla distribuzione della ricchezza e del lavoro, che propizieranno la migrazione, fino alle differenziazioni di strati e ambienti sociali all’interno dei quali gli uomini si differenziano per cultura e beni economici.

Argeliers León menziona tre fattori fondamentali:

Il primo è il “fattore antecedente” nel quale si posizionano gli elementi costitutivi derivati dalle radici ispaniche e africane per Cuba.
Nei caraibi abbiamo un influenza Aborigena, a volte molto presente.
A seguire, “il fattore urbano“, elaborato in quello che diventa anche un ambiente infraurbano.
E successivamente associa l’insieme di questi fattori (che vanno quindi a costituire un nuovo elemento) ad una “marmitta o a un alambicco distillatore” all’interno del quale si miscelano i vari ingredienti dai quali si distillerà un nuovo prodotto.

In poco tempo, ci dice, siamo passati attraverso culture ormai scomparse, assimilate, sovrapposte, attraverso la perdita di alcuni elementi e la riapparizione di altri, attraverso l’inglobamento di elementi estranei e al rinnovamento di alcuni contenuti in diversi momenti e in diverse proporzioni“, cosa che si ripercuote in tutti gli ambienti della popolazione.(León, Argeliers, El paso de elementos por nuestro folklore, Cuadernos de Folklore, La Habana, 1952).

Questo processo di transculturazione di elementi in tutti gli ambienti della popolazione è permanente e, in maniera generale, ebbe inizio molto prima della presenza ispanica nelle culture precolombiane.

Oggi possiamo comparare i distinti generi musicali caraibici a quegli stessi fattori storici che gli diedero origine ma anche a quegli strati della popolazione che hanno determinato i fattori antecedenti e il fattore urbano elaborato.

L’importanza delle interelazioni o degli scontri fra gli elementi degli stili precedenti o elaborati, si riflette in una semplice analisi auditiva corrispondente all’ambiente infraurbano di varie popolazioni di questo grande “brodo primordiale“, nel quale sono presenti gli elementi antecedenti come gli strumenti a corda, l’idioma e la sua struttura poetica e le percussioni o le strutture metroritmiche dell’antecedente africano.
Gli elementi che determinano i lineamenti identitari sono indubbiamente presenti, quali l’ espressione nei modi di suonare, di impostare la voce, di alternare o variare le strutture.

Storicamente molti di questi elementi arrivarono grazie alle migrazioni tra le isole caraibiche e le coste continentali di questa grande area.
Gli uomini originariamente si spostavano attraverso piccole imbarcazioni, seguendo possibilmente la rotta degli Arawacos, mentre successivamente iniziarono a utilizzare golette di maggior cabotaggio che permettevano l’andata e il ritorno, una possibilità di ritorno per lo più inutilizzata: infatti trasferirono la loro cultura che si sarebbe mischiata a quella dei popoli vicini che avevano origini simili.
Questo scambio culturale fatto di apporti o di sottrazioni di elementi stilistici si verificò anche tra popolazioni di lingue diverse, (inglesi, francesi, olandesi) ma in percentuale minore e in periodi temporali più dilatati, fondando colonie e popolazioni endogame nell’ambito di quei popoli che ricevettero la loro influenza.

Le condizioni di dipendenza economica nelle quali si trovavano questi immigrati determinavano il ceto sociale degli stessi. Io dico che si muovevano richiamati da Cuba, che, essendo la maggior isola delle Antille e con il maggior sviluppo agricolo, attraeva un gran numero di immigrati in cerca di migliori condizioni economiche.
Nel corso del XIX secolo confluirono molti aborigeni e molti indios dello Yucatan, come lavoratori salariati in condizioni di lavoro simili alla schiavitù.
Arrivarono illegalmente anche molti abitanti delle Isole Cayiman e della Giamaica che si stabilirono a sud dell’isola di Pinos, laddove fondarono le loro popolazioni, iniziando un commercio con le imbarcazioni di altre nazioni, anche clandestino.

Precedentemente, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, erano confluiti altri emigranti da Haiti, per motivi politici e economici, dal momento che la loro patria stava perdendo quote di mercato nella raccolta del caffè e della canna da zucchero a causa della rivoluzione.
Inoltre la cessione della Louisiana causò una consistente immigrazione di francesi verso la provincia di Pinar del Río e di Villaclara, dove fondarono la città di Cienfuegos. Gli elementi primari portati dagli schiavi provenienti da Haiti e quelli europei portati dai loro padroni e dai francesi della Louisiana, apportarono nuove sonorità nella musica del XIX secolo che si sono tramandate fino ai giorni nostri, dopo più di un secolo di transculturazioni.
La musica cortigiana europea (maggiori info: www.musicarinascimentale.it) era giunta a Cuba anche grazie ai colonizzatori spagnoli, con un maggior incremento tra il XVIII e il XIX secolo.

Dopo il grande sviluppo della raccolta della canna da zucchero, prodotta nei primi anni del 1900 nelle zone orientali dell’isola, la grande espansione agraria attrasse molti immigrati da Haiti, Santo Domingo, Portorico, Barbados, Jamaica, Isole Caiman, i quali furono a loro volta costretti a miseri contratti salariali con i quali non riuscivano nemmeno a pagare il rientro in patria, senza contare che molti di loro arrivavano senza documenti.
Per questo motivo si stabilirono nelle province dove c’erano i principali centri di raccolta della canna da zucchero.

Per molti anni, le loro pratiche religiose, le loro feste, furono prettamente endogame; non si mischiavano con il resto della popolazione cubana e i loro discendenti parlavano il proprio dialetto, insomma anche se si relazionavano con il resto della gente e imparavano lo spagnolo, mantenevano una tradizione molto ancorata alle proprie radici. Anche oggi, fra le persone più anziane, possiamo trovarne alcune che non ritornarono più in patria e che non parlano spagnolo.

Nell’isola di Pinos vivono alcuni figli e nipoti dei primi immigrati giamaicani e delle isole Cayman che ricordano le danze antiche, ormai quasi scomparse anche nei luoghi d’origine come il “Mentó” ed il round dance.
La prima è un’ antica danza cortigiana che si ballava in Giamaica mentre il secondo è un ballo di coppia collegato secondo molti all’origine del “Sucu-sucu“.

La lingua non fu un ostacolo per il riconoscimento di questi generi da parte del popolo.
C’è una canzone dal ritornello infantile che riproduce i temi di un antico foxtrot: “When she comes around the mountain“.
Altri gruppi di lingua inglese provenienti dalle Barbados si stabilirono nella zona centrale del Baraguá, a Camagüey; i loro figli creoli fino a pochi anni fa cantavano antiche canzoni in inglese a più voci e ballavano danze coreografiche e calipsos e, successivamente iniziarono a trasmettere queste esperienze culturali ai gruppi del Movimiento de Aficionados.

Dobbiamo considerare che questa integrazione culturale si verificò dopo che gli immigrati clandestini che collaboravano ai lavori nei campi di canna da zucchero, ricevettero la cittadinanza cubana e i diritti sociali all’inizio della Rivoluzione (ndr Castrista).

Circa quarant’anni fa a Guantánamo viveva un gruppo con radici portoricane, che suonavano Plenas (Ndr: genere autoctono portoricano), che parteciparono ai lavori del centro di lavorazione della canna da zucchero nella zona est di Cuba.
Questi apporti ci fanno decisamente ipotizzare una presenza di elementi caraibici che contribuirono al son cubano o viceversa, dato che si può stabilire un parallelo tra la plena, il changüí, il sucu-sucu, il round dance e i sones primitivi che si cantavano nella Sierra Maestra e nella cuenca del Cauto.

Per quanto riguarda il fattore urbano elaborato e il fattore infraurbano, le relazioni di comunicazione che favoriscono l’azione transculturale sono più vicine. La musica di questi gruppi, di origine europea, utilizza strumenti popolari e strumenti d’orchestra che saranno assimilati da altri gruppi. La gente di origine africana recepì rapidamente il Tiple (ndr: strumento a corda), sostituì le marimbas e gli archi monocordi, utilizzò i tambores (tamburi) dei bianchi; il creolo mulatto inventò la clave ed il bongò.


TAMBOR ARARÁ

TAMBOR ARARÁ POLICROMATO


TAMBOR DE CANASTILLERO
PARA OLOKUN


TAMBOR BATÁS IYÁ

I padroni insegnarono ai propri schiavi a utilizzare gli strumenti per quei pochi momenti di svago. Tutto questo, su per giù, si verificò anche negli altri paesi dell’area caraibica. I gruppi spagnoli, formati anche da indios e da meticci messicani accompagnavano feste e processioni. Simili ad essi erano in America centrale, in Colombia, in Venezuela e nelle Antille i gruppi e le piccole orchestre di teatro che qui animavano i balli popolari, le zarzuelas e le processioni. La marimba africana, il balafon, scomparve nelle Antille e continuò ad essere suonata nel sud del Messico, in Guatemala, in El Salvador, in Costa Rica, in Nicaragua, con caratteristiche che hanno fatto pensare che fosse aborigena.

Sicuramente fu lo strumento più radicato e originalmente diffuso di questi paesi, la cui sonorità e la cui pratica sono state abbracciate da vari esecutori, con musica popolare e da concerto.
Caso simile è quello delle Steel Bands, proprie delle popolazione anglofone dei caraibi, un caso molto particolare che non riuscirà a estendersi al di fuori del proprio ambito territoriale e ad arrivare verso zone più estese, transculturandosi con altri strumenti.
La musica con potenza di canto come: Canciones, Boleros, Bambucos, Habaneras e le Guabinas, oltre ad altri generi di canzoni, hanno trapassato le frontiere culturali e hanno costituito un patrimonio comune di varie nazioni. La loro provenienza è scomparsa in alcune occasioni o è stata assunta da altre persone. Da principio avvennero le migrazioni economiche o politiche. Molti artisti che venivano a Cuba frequentemente e a volte vi ci si stabilivano, o gli stessi cubani che emigravano in cerca di lavoro o come rifugiati politici, le cantarono in altri paesi dove furono accolti.

I messicani che arrivarono a Cuba nel XIX secolo o quelli che arrivarono successivamente alla rivoluzione messicana, portarono canzoni che si cantano oggi, conosciute come cubane. Anche le famiglie cubane che emigrarono a Mérida e Veracruz, o in Venezuela, portarono canzoni e danze che si eseguivano a Cuba. Così come in libri di canzoni e ricompilazioni messicane ci sono canzoni cubane.

I casi più rilevanti sono la canzone “Guarda esta flor” di Malesio Morales (messicano) e la canzone colombiana “El Soldado” di Suárez Garabito, conosciuta a Cuba e in America latina come “Lucero de mis noches”, che si canta a tempo di habanera sia a Cuba che in Spagna, dove entrambe le canzoni sono state riregistrate da vari autori. Alcune famiglie cubane, che emigrarono in Venezuela durante la guerra di Indipendenza, al loro rientro in patria cantavano ai loro bambini una canzone di origine venezuelana che diede origine all’inno nazionale della nazione stessa.

La nascita del disco e quindi della registrazione costituisce un fatto culturale di grande importanza per la transculturazione degli elementi musicali.
La diffusione dei cilindri per fonografo e dell’ortofonica, dapprima un lusso per pochi e in seguito un intrattenimento di uso popolare, permise una consistente divulgazione della musica di tutti i popoli verso tutti i paesi del mondo. Una cosa molto importante per tutti i cubani è che la prima agenzia distributrice di dischi per l’america latina sia nata a La Habana.
Le prime registrazioni di dischi di ortofonica si realizzarono con artisti cubani e furono canciones, danzones, puntos cubani.
“Cuba, come paese produttore di musica, di musicisti e di interpreti” racconta Díaz Ayala, “ebbe accesso vasto e immediato all’industria riproduttrice dell’audio, in maniera del tutto simile ad altri paesi latinoamericani”.

“A quell’epoca”, aggiunge, “le registrazioni si facevano negli Stati Uniti e per questo motivo gli artisti di tutta l’America latina si muovevano principalmente verso la città di New York.
Il flusso di musica cubana che arrivava per essere registrata e che dopo veniva diffusa in tutta l’america latina, specialmente nella zona caraibica, era davvero notevole”. Per questa ragione di mercato, la musica elaborata, quella dei nuclei urbani e rurali, fu conosciuta in tutti i caraibi e nei paesi latino americani. Lo scambio di artisti, alcuni dei quali “arruolati” per propri meriti, altri emigrati in cerca di lavoro, ci portò artisti latino americani, mentre artisti cubani andarono verso altri paesi.

Xavier Cugat, studente di violino, nato a Barcellona e vissuto a Cuba, partì con altri artisti cubani e si stabilì a New York, fondando un’orchestra per eseguire “rumbas e congas” da sala.
Nilo Menéndez, pianista, aveva in quella città un’orchestra di danzones; successivamente si dedicò a produrre dischi con canzoni cubane e messicane. Antonio Machín, Mario Bauzá, Frank Grillo e più tardi Pérez Prado, Los Matamoros, Miguelito Valdés, registrarono ed apportarono, da quel punto di espansione della musica latinoamericana e caraibica, tutta una serie di cambi e innovazioni che ci furono nella musica urbana elaborata durante vari decenni, fino agli anni quaranta, quando cominciano le registrazioni a Cuba.

All’isola arrivarano artisti di altri paesi caraibici che influenzarono i modi di espressione. Pedro Vargas e María Luisa Landín cantarono boleros che alterarono la metrica regolare e stabile utilizzata fino a quel momento. Il “tempo rubato” diventò grazie a loro una moda e rimase tale fino a Benny (ndr.Moré), che, per la sua esuberanza musicale (ndr.Benny si distinse proprio per le accelerazioni, dilatazioni e contrazioni del tempo musicale), venne soprannominato “Barbaro del ritmo“.

Sulla stessa lunghezza d’onda di Benny Moré fu il portoricano Daniel Santos, il cui modo di esprimersi influenzò molti cubani, e con loro un consistente movimento di strumentisti, fondamentalmente pianisti, che siglarono una serie di cambiamenti nella musica ballabile oltre che nel “movimento del feeling”, che rappresenterà un cambio totale per il genere canoro.

Ma prima devo fare altre considerazioni. Nello stesso modo in cui alla base del popolo sono più definiti gli elementi dello stile precedente, espressi in un modo singolare che definisce la propria identità, così nella musica urbana questi elementi sono più cosmopoliti in quanto più esposti a tutte le innovazioni e a tutte le influenze straniere. Il disco, la radio e gli altri media di comunicazione sono infatti più acessibili ai nuclei urbani per il loro maggior potere di acquisto. Storicamente nelle città si riscontravano gli aspetti più superficiali della musica per l’influenza da parte dei viaggiatori, degli artisti in tour, dei lavoratori in porti e nelle marinerie, che erano poi quelli che li trasportavano.

Oggi, la possibilità di maggiore comunicazione tra i musicisti produttori e il pubblico ricevente, ha permesso una omogeneizzazione della musica più vicina a questi mezzi di comunicazione.
E la salsa è un prodotto di questa patria caraibica e latino americana ampliata.

La salsa è il prodotto della somma di elementi caraibici che da epoche molto antiche iniziarono a transculturarsi e che provenivano da antecedenti fonti, comuni alla cultura ispanica e a quella africana.
E’ la somma delle innovazioni apportate dai popoli caraibici che si sono stabiliti nel cosmopolita quartiere latino di New York.
Non potremmo considerare questo quartiere come facente parte dell’area caraibica?
Di fatto si realizzò un fattore musicale ibrido di tutti questi paesi che fu accettato di buon grado e che identificò tutti i caraibi in questa nuova espressione.

Nella musica urbana, creata da autori come Nilo Menéndez (cubano), Palmerín e Lara, autori provenienti dallo Yucatan (guarda il link sulla Trova Yucateca), Bobby Capó e Rafael Hernández (portoricani), troviamo similitudini tali da poter essere considerate provenienti da uno stesso paese e dallo stesso autore.

Riscontriamo costantemente, da parte degli autori, l’intenzione intellettiva e cosciente di avvicinarsi a stili che possono diventare una moda, oltre che a modi di fare che si osservano in luoghi comuni.
Allo stesso modo le canzoni, i gruppi strumentali e vocali, le strumentazioni, l’uso degli strumenti elettroacustici, i tumbaos e l’espressione collettiva di un gruppo, possono essere associati, vuoi per l’interesse di relazionarsi, allo stare “al passo con i tempi”, al distaccarsi dal particolare per entrare in un panorama generale più ampio.

E possiamo vedere in un tracciato di oltre cinquant’anni come si sono evoluti i generi strumentali, grazie ai continui apporti, per arrivare fino ai giorni nostri.

Ringraziamo María Teresa Linares per averci concesso l’autorizzazione a pubblicare questo articolo.

Español

HERENCIA TRANSCULTURAL EN LA MUSICA DEL CARIBE

por: María Teresa Linares

Luego de cinco siglos de la presencia hispánica en América, el resultado de un largo y constante proceso de transculturación nos ofrece hoy un panorama musical muy amplio en este Caribe que nos une, proceso que a la vez permite que reconozcamos nuestra imagen identitaria. En esta imagen están presentes los elementos culturales de las raíces aborígenes, los de las culturas de dominación y los aportes de la raíz africana, trasladados a la Isla mediante la trata esclavista.

Para que aquel proceso se hubiera producido, era necesario un choque de culturas en el que los elementos más significativos fueran asumidos, sumados a otros que mantenían su vigencia, su función específica dentro del grupo, sus elementos raigales. Es la eliminación natural de lo obsoleto, de lo pasado, y por lo tanto sustituible. El nuevo producto cultural, enriquecido, con nuevas funciones es aceptado por los grupos más progresistas, mientras que otro grupo — aceptemos el término conservador–, guardará sus tradiciones.

En la historia de la humanidad vimos cómo se sustituía el cuchillo de piedra por el de hierro que ofrecía mayor perfección en sus funciones, los cortes, sin embargo aquél quedaba para los servicios rituales. En la música vemos constantemente como evolucionan o cambian instrumentos, estilos, modos de hacer, pero permanecen algunos básicos, anteriores, como elementos tradicionales, aún pasados de moda, en ambientes donde la tradición se asienta.

Este proceso también es valorativo, perdurable, medular. Cuando no conserva ningún elemento antecedente se desarraiga hasta desconocerse. El hilo conductor, el elemento identificativo estable es el que da vida y razón de ser. Los elementos mutables, innovadores, pueden llegar a ser estables, o bien, desaparecer por carecer de los valores que le hubieran asegurado su permanencia. Otro factor importante será la re-valoración de los elementos tradicionales que al retornar su uso se enriquecen con algunos aportes asimilados en el trayecto que han recorrido.

Hay muchos factores que determinan que se produzca la transculturación. Fundamentalmente las relaciones de producción, desde la distribución de la riqueza y el trabajo, que propician las migraciones, hasta la diferenciación de estratos y ambientes sociales en que se sitúan al hombre pueblo y al hombre culto .

Argeliers León menciona tres factores fundamentales: el factor antecedente en el que sitúa los elementos constitutivos derivados del antecedente hispánico y el antecedente africano para Cuba. En el Caribe tenemos el factor aborígen, en ocasiones muy presente. Luego el factor urbano elaborado en el que se determina también un ambiente infraurbano

Luego compara la mezcla de aquellos elementos como integrados en una “marmita o cucúrbita de alambique” donde se mezclan los ingredientes varios de los cuales se destila un nuevo producto. “En corto tiempo, nos dice, se ha pasado por culturas desaparecidas, culturas asimiladas, superpuestas, pérdida de elementos, reaparición de otros, incorporación de elementos ajenos, renovación de aportes en diferentes momentos y proporciones” lo cual ocurre entre todos los ambientes de la población.(León, Argeliers, El paso de elementos por nuestro folklore, Cuadernos de Folklore, La Habana, l952. Este proceso de transculturación de elementos en todos los ambientes de la población es permanente, y de manera general ocurrió desde mucho antes de la presencia hispánica entre las culturas precolombinas.

Hoy, podemos comparar los distintos géneros musicales del Caribe entre sí y entre los factores históricos que les dieron origen, y en cada uno de los estratos de población que determinan los factores antecedentes y el factor urbano elaborado.

La importancia de la interrelación o choque entre los elementos de estilo antecedentes o elaborados se refleja en el simple análisis de una audición que corresponda al ambiente infraurbano de varios pueblos de este gran charco, en los que estén presentes los elementos antecedentes como la cuerda pulsada, el idioma y su estructura poética, y la percusión o las estructuras metrorrítmicas del antecedente africano. Los elementos que determinan los rasgos de identidad están, indudablemente presentes, por su expresión en sus modos de tañer, de impostar la voz, de alternar o variar sus estructuras.

Históricamente se trasladaron muchos de estos elementos a través de migraciones entre las islas del Caribe y las costas continentales de esta gran área. Los hombres que se trasladaban en pequeñas embarcaciones siguiendo, posiblemente la ruta de los arawacos, pero ahora en goletas de cabotaje que permitían una ida y vuelta, que en ocasiones nunca ocurriría, trasladaron su cultura, que se sumó a la de los pueblos cercanos de similar orígen. Este intercambio, suma o resta de elementos de estilo también ocurrió entre poblaciones de lenguas distintas,(inglés, francés, holandés) pero en menor grado y en períodos de tiempo más amplios al fundarse colonias o poblaciones endógamas en aquellos pueblos que recibieron sus aportes.

Las condiciones de dependencia económica en que llegaban estos inmigrantes determinaban el estrato poblacional al que se sumaban. Y digo llegaban por el fenómeno cubano, que como isla de mayor tamaño en las Antillas, y con mayor desarrollo agrario, atrajo un gran número de inmigrantes en busca de mejores condiciones económicas. Desde el siglo XIX fueron traídos como trabajadores asalariados en condiciones casi esclavistas muchos aborígenes y mestizos yucatecos. También vinieron clandestinamente muchos pobladores de las Islas Caimán y jamaicanos que se establecieron al sur de Isla de Pinos, en la que fundaron sus poblaciones, y desde ellas establecieron un comercio con embarcaciones de otras naciones, también clandestino. Otra índole de inmigrantes había venido de Haití a fines del siglo XVIII y principios del XIX por motivos políticos y económicos, pues aquella nación perdía, con su revolución, el comercio de café y azúcar. Además, el traspaso de la Louisiana fue causante de migraciones de franceses hacia la provincia de Pinar del Río y la de Villaclara, en la que se fundó por ellos la ciudad de Cienfuegos. Los elementos primarios traídos por los esclavos provenientes de Haití y los de la música europea traídos por sus amos y los franceses de la Louisiana aportaron nuevas sonoridades en la música del siglo XIX que ha llegado hasta hoy luego de más de un siglo de transculturaciones. La música cortesana europea también nos había llegado por la vía de los colonizadores españoles, con mayor incremento entre los siglos XVIII y XIX.

Luego del gran desarrollo azucarero producido en los primeros años del presente siglo en las zonas orientales de la Isla, la gran expansión agraria atrajo muchos inmigrantes de Haití, Santo Domingo, Puerto Rico, Barbados, Jamaica, Islas Caimán, los que también vinieron contratados con salarios misérrimos con los que no podían pagarse el regreso o llegaron indocumentados, estableciéndose poblaciones en las provincias donde se fundaron grandes centrales azucareros.

Durante muchos años, la práctica de sus ritos religiosos, de sus fiestas, tuvo un carácter endógamo, no se mezclaban con la población cubana y sus descendientes hablaban su propio idioma y aunque se relacionaban con el resto de la población y aprendían el español se mantenía una tradición muy apegada a sus antecedentes. Aún hoy, entre personas muy ancianas podemos encontrar algunas que nunca regresaron y no hablan español.

En la Isla de Pinos se mantienen algunos hijos y nietos de jamaicanos y caimaneros que recuerdan danzas antiguas, casi desaparecidas en sus lugares de origen como el mentó y el round dance, la primera, una antigua danza cortesana que se bailaba en Jamaica, y la segunda, otra danza de pareja enlazada a la que ellos le atribuyen el origen del sucusucu.

El idioma no ha sido óbice para la identificación de estos géneros con la población. Hay una canción cíclica infantil que reproduce los temas de un antiguo fox trot: When she comes around the mountain.

En otros grupos de habla inglesa, de Barbados, establecidos en el batey del Central Baraguá, en Camagüey, los hijos criollos hace pocos años cantaban antiguas canciones inglesas a varias voces, bailaban danzas coreográficas y calipsos, y luego transmitieron estas experiencias culturales a grupos del Movimiento de Aficionados. Esta integración, consideramos que se produjo luego de una nacionalización y reconocimiento ciudadano a aquellos inmigrantes clandestinos que colaboraron en el desarrollo azucarero al promulgarse la Ley de Seguridad Social al principio de la Revolución, y fue, además a nivel nacional. Ya la población de estos grupos se integra a la cubana y se amplían sus acciones culturales con las nuestras.

Hace también cerca de cuarenta años que existía en Guantánamo un grupo que ejecutaba plenas identificado como de inmigrantes puertorriqueños que participaron en las labores del Central azucarero más al este de nuestro territorio. Estos aportes nos han hecho suponer, y plantear como hipótesis, una presencia de elementos caribeños contribuyentes al son cubano o viceversa, ya que podemos establecer un paralelo entre una plena, un changüí, un sucu-sucu, un round dance con los sones primitivos que se cantaron en la Sierra Maestra y en la cuenca del Cauto

Para el factor urbano elaborado, y aún el factor infraurbano, las relaciones de comunicación que propicien una acción transcultural son más cercanas. La música de estos grupos, de origen europeo, utiliza instrumentos populares y de la orquesta que fueron asimilados por otros grupos. El negro asumió tempranamente el tiple, sustituyó las marimbas y arcos monocordes, utilizó los tambores de los blancos y el criollo mulato inventó las claves y el bongó. Los amos enseñaron a sus esclavos a ejecutar los instrumentos para sus ratos de solaz. Todo esto planteado grosso modo sucedió en otros países del área del Caribe Las bandas españolas integradas por indios y mestizos mexicanos acompañan las fiestas procesionales. En Centro América, Colombia, Venezuela, y en las Antillas son similares las bandas y las pequeñas orquestas de teatro que aquí amenizaron bailes populares, zarzuelas y procesiones. La marimba africana, el balafón, desapareció en las Antillas y permaneció al sur de México, Guatemala, El Salvador, Costa Rica , Nicaragua, con características que han hecho pensar que es aborígen. Es el instrumento más arraigado y original de esos países cuya sonoridad y práctica se ha desarrollado hasta poder ser interpretada por varios ejecutantes, con música popular y de concierto. Caso similar es el de las Steel bands de los pueblos anglófonos del Caribe, pero son aspectos particulares que no alcanzan a extenderse fuera de su ámbito y llegar a zonas más amplias transculturándose con otros instrumentos.

La música con potencia de canto: Canciones, boleros, bambucos, habaneras y guabinas más otros géneros de canción han traspasado fronteras culturales y han constituído un patrimonio común de varias naciones. Su autoría ha desaparecido en ocasiones o la han asumido otras personas. Se trasladaron primero por las migraciones económicas o políticas. Muchos artistas que venían de recorrido y a veces se quedaban, o gentes del pueblo que emigraban en busca de trabajo o como refugiados políticos las cantaron en otros países que los acogieron. Los mexicanos que llegaron a Cuba en el siglo XIX o los que posteriormente a la Revolución Mexicana llegaron a nuestras playas trajeron canciones que se cantan hoy como cubanas. También las familias cubanas que emigraron a Mérida y Veracruz, o a Venezuela, trajeron canciones y danzas que se ejecutaron en Cuba. Asimismo en cancioneros y recopilaciones mexicanas aparecen canciones cubanas.

Los casos más notables son la canción Guarda esta flor, de Melesio Morales, de México, y la canción colombiana El Soldado, de Suárez Garabito, que se ha conocido en Cuba e Hispanoamérica como Lucero de mis noches y se canta en tiempo de habanera, tanto en nuestro país como en España, en donde ambas han sido registradas por varios autores. Familias cubanas que emigraron a Venezuela durante la Guerra de Independencia, vinieron cantando a sus niños una canción de cuna venezolana que dio origen al Himno nacional de aquella nación.

Pero un hecho cultural de gran importancia para la transculturación de elementos musicales es la presencia del disco, de la grabación. La divulgación primero como objeto suntuario, luego como objeto de entretenimiento de uso popular, del fonógrafo de cilindros y de la ortofónica, permitió la mayor expansión de la música de todos los pueblos hacia todos los países. Y resulta importante para nosotros que se haya instalado en La Habana la primera agencia distribuidora de discos para toda Latinoamérica . Las primeras grabaciones de discos de ortofónica se realizaron con artistas cubanos, y fueron canciones, danzones, puntos cubanos. “Cuba, como país productor de música, músicos e intérpretes” dice Díaz Ayala–, tuvo acceso inmediato y bastante amplio a la industria reproductora del sonido, en comparación con otros países latinoamericanos”…”Por aquella época, agrega, las grabaciones se hacían en Estados Unidos, para lo cual los artistas de toda América viajaban principalmente a la ciudad de Nueva York. Era muy grande el flujo de música cubana que llegaba para ser grabada y que después circulaba por toda Latinoamérica, especialmente la cuenca caribeña…” Por esta razón mercantil, la música elaborada, la de los núcleos urbanos y rurales, fue conocida en todo el Caribe y más extensamente en toda Iberoamérica.

El intercambio de artistas, unos contratados por sus méritos, otros que emigraban en busca de trabajo, nos trajo artistas latinoamericanos y salieron hacia otros países artistas cubanos.

Xavier Cugat, estudiante de violín nacido en Barcelona y criado en Cuba, partió con otros artistas cubanos y se estableció en Nueva York, fundando una orquesta para ejecutar rumbas y congas “de salón”. Nilo Menéndez, pianista, tenía en aquella ciudad una orquesta de danzones y se dedicó luego a producir discos con cancioneros cubanos y mexicanos. Antonio Machín, Mario Bauzá, Frank Grillo; más tarde Pérez Prado, Los Matamoros, Miguelito Valdés, grabaron desde aquel punto de expansión de música latinoamericana y caribeña, toda una serie de cambios e innovaciones que ocurrieron en la música urbana elaborada durante varias décadas, hasta la del cuarenta que comienzan las grabaciones desde Cuba.

A la Isla llegaron artistas de otros países del Caribe que influyeron en los modos de expresión. Pedro Vargas y María Luisa Landín cantaron boleros que alteraban la métrica regular y estable en que se había cantado. El rubatto se puso de moda a partir de ellos y llegó hasta el Beny, quién en su exageración alcanzó el apelativo de “Bárbaro del ritmo”. Coincidente con el Beny fue el puertorriqueño Daniel Santos, de cuya expresión aprendieron muchos cubanos, y con ellos un fuerte movimiento de instrumentistas, pianistas fundamentalmente, marcaron una serie de cambios en la música bailable y otro, el movimiento del feeling, que daría un vuelco a los estilos cantables.

Pero antes debo hacer otras consideraciones. Del mismo modo que en la base del pueblo están más definidos los elementos de estilo antecedentes, expresados de un modo singular que define su identidad, en la música urbana estos elementos son más cosmopolitas al estar expuestos a todas las innovaciones e influencias foráneas. El disco, la radio y los demás medios de comunicación son más accesibles a los núcleos urbanos por su mayor poder adquisitivo. Históricamente en las ciudades era donde se encontraban los aspectos más superficiales de la música por la afluencia de viajeros, artistas en jiras, trabajadores de los puertos y la marinería, que eran los que la transportaban.

Hoy, la posibilidad de mayor comunicación entre los músicos productores y su público receptor, ha permitido una homogeneización entre la música de las capas más cercanas a estos medios. Y la salsa es un producto de esa patria caribeña y latinoamericana ampliada.

La salsa es el producto de la suma de elementos caribeños que desde muy antiguo se estuvieron transculturando y que provenían de antecedentes comunes de las culturas hispánica y africana. La suma de innovaciones aportadas por caribeños establecidos en el cosmopolita barrio latino de Nueva York ¿No podremos considerar que este barrio es también es una parte del área del Caribe? Realizó un hecho musical híbrido de todos estos países que se aceptó y alto grado, identificando todo el Caribe en esta nueva expresión.

En la música urbana creada por autores como Nilo Menéndez, cubano, Palmerín, y Lara, autores yucatecos; Bobby Capó y Rafael Hernández, puertorriqueños, encontramos tal similitud que podemos considerarlas de un mismo país y autor. Constantemente vemos la intención intelectiva y consciente de los autores de acercarse a estilos que se imponen en la moda, de acercarse a modos de hacer que se escuchan en lugares comunes. De igual manera las canciones, los grupos instrumentales y vocales, las instrumentaciones, el uso de instrumentos electroacústicos, los tumbaos y la expresión colectiva de un grupo, puede ser muy similar entre sí por el interés de relacionarse, de estar “al día”, de salir de lo particular a lo general en un panorama más amplio.

Y podemos ver en un trazado de más de cincuenta años cómo han evolucionado géneros instrumentales recibiendo aportes para llegar al trazando del camino hasta hoy.

La Pachanga fa impazzire New York

tratto da El Diario La Prensa di New York 1961 e dal portale Herencia Latina
a cura di ©JOSE TORRES CINTRON.

Traduzione a cura di Daikil

“¡Señores qué pachanga!..¡Me voy pa’ la Pachanga!…¡Señores qué Pachanga!…¡Me voy pa’ la Pachanga!”
Eduardo Davidson.

Questo interessante articolo sull’origine della pachanga fu pubblicato dalla rivista Nuestra Historia de “El Diario La Prensa” di New York. Si tratta di alcune dichiarazioni fatte da Arsenio Rodríguez e pubblicate il 30 aprile 1961. (Herencia Latina)

C’è un nuovo ritmo a New York che sta facendo impazzire gli amanti del ballo. La pachanga, il movimentato ritmo i cui fedeli interpreti sono oggi due giovani direttori di orchestra – Charlie Palmieri e Johnny Pacheco – , rispettivamente portoricano e dominicano.

La pachanga ha trasformato questa città ed ha fatto impazzire migliaia di persone che si sono sentite attratte da un ritmo così coinvolgente. Quello che è cominciato come un ballo “da pazzi” in meno di due anni si è propagato in tutti i locali notturni della città fino a contagiare gli amanti della musica brava.

Già non si sentono più frasi come “Andiamo a rumbear” oppure “si va a mambear”. Ora tutti vanno a pachanguear, i giovani, gli adulti e i bambini. Si balla la pachanga nelle feste famigliari del Barrio e di Long Island, del Bronx e di Manhattan, come anche in tutti i club notturni della città, dal più umile al più elegante.

Origine

C’è una discordanza di idee sull’origine di questo movimento. Senza dubbio i più autorevoli direttori d’orchestra della città, tra cui il popolare Machito Juanucho López, Belisario López e Fran Ugarte, concordano che la pachanga è una combinazione di ritmi provenienti dal merengue, dal son montuno, dal mambo e dagli altri ritmi tropicali più movimentati.

Di una cosa sono tutti sicuri, che lo stile col quale i giovani newyorkini ballano la pachanga è originale del Bronx. Il brinquito (passo, ndr) tipico della pachanga non è stato importato da nessun paese. Ha avuto origine qui.

Secondo le ricerche che abbiamo fatto, tutto pare indicare che il ritmo che sta causando furore in città, nacque qui dalle orchestre di Fajardo e di Aragon, le quali giunsero in questa città nel 1959. Queste orchestre introdussero il ritmo ma non prese subito piede.

I Re della Pachanga.

Nel teatro Puerto Rico del Bronx, venerdì 12 maggio del 1961 si celebrerà “La Prensa’s Pachanga Nite” per presentare le coppie che si contenderanno lo scettro de “I Re della Pachanga”. I partecipanti a questa serata avranno la possibilità di vedere le coppie in azione e di sentire questo ritmo interpretato dai massimi esponenti.

“¡Señores qué pachanga!..¡Me voy pa’ la Pachanga!…¡Señores qué Pachanga!…¡Me voy pa’ la Pachanga!”

Così ripete il coro di una delle pachangas più popolari del momento, e così ripete il coro nella Gran Pachanga (festa tipica, ndr) che ha causato la serie di articoli che “La Stampa” ha cominciato a pubblicare da domenica (2 aprile del 1961), firmati da José Torres Citrón.
Gli articoli si sviluppano attorno ad una serie di ricerche realizzate da Torres Citrón e ciò che ne viene fuori riguardo a questo ritmo ed a questo ballo così popolare in questi giorni sono stati dettagli trascurati da chi, pur animato dalle migliori intenzioni, ha creduto di conoscere la realtà sulla pachanga. Ma si dà il caso che qui venga intervistato il grande musicista cubano formidabile autore di musica popolare, quella dei ritmi calienti, sonero veterano, uno degli uomini cui è stato attribuito il titolo di “Re del Ritmo”, l’unico Arsenio Rodriguez il quale spiega dettagliatamente come la pachanga sia nativa ed abbia la sua culla nei campi dell’indomito Oriente (Santiago di Cuba).

“La storia torna a ripetersi. Mi hanno tolto il mambo e adesso vogliono levarmi il montuno”, afferma Arsenio. “ Però, prima di entrare nelle spiegazioni della verità sulla pachanga, lasciatemi chiarire che non ho nulla contro Charlie Palmieri, né contro Pacheco (che sono segnalati come i più importanti con le loro rispettive orchestre per i ritmi pachangueros). Entrambi hanno la mia stima. Con questo resta inteso che il mio unico obbiettivo è quello di segnalare dettagli importanti sul ritmo chiamato pachanga.”

“La pachanga – dichiara Arsenio – nasce a Cuba. Ha la sua culla a Santiago di Cuba. Un saggio una volta disse: ‘A questo mondo nulla scompare, tutto ritorna al suo posto’. Questo ritmo che oggi si riconosce come pachanga è nato in Oriente, in una località chiamata El Pilón. All’inizio si chiamava chivo (“capra”).
Si suonava con un tres, le cui corde erano di interiora di juntia, che si mettevano ad essiccare e poi venivano utilizzate per il tres. Una latta di carburante fungeva da bongó o tumbadora; un tino con un cavo ad uno dei lati faceva le veci del contrabbasso (si colpiva) e due pezzi di legno che furono chiamati claves erano gli strumenti originali per eseguire quella che oggi chiamiamo pachanga”.

“I primi chivos che furono suonati – continua Arsenio – , dicevano: ‘Yo no como corazón de chivo camará, porque el chivo me indigesta el buche’… oppure: ‘La pisé, la pisé, la pisé, mamamá’, ‘Compay contunto que te coge el día’. Questi versetti erano cantati dalla prima voce, quasi sempre quello che suonava il tres, mentre i ballerini facevano il coro”.

Arsenio Rodriguez però dice che il merengue non smette mai di avere una piccola influenza nella pachanga originale, e spiega: “Nelle colonie per la raccolta della canna di Cuba – in particolare là nella provincia orientale – si riunivano molti Haitiani, Giamaicani, Portoricani, uomini di lavoro che venivano a Cuba per il taglio della canna durante il raccolto. Per nessuno è un segreto che il merengue nasce da un ritmo haitiano giunto a Santo Domingo”.

“Il chivo originale prese a volte il nome di “Capetillo”, altre di son montuno ed oggi si chiama pachanga. La pachanga – assicura Arsenio – è una composizione musicale ballabile, composta di son montuno e zapateo cubano (danza folklorica basata sul battito dei piedi, ndr). Dal momento che la maggior parte dei giovani a New York è portoricana, così posso dire che il chivo se fosse suonato là a Puerto Rico, sarebbe il seis chorreao (ballo di coppia tipico dei campesinos portoricani, molto veloce, ndr)”.

“La miglior dimostrazione che la pachanga sarebbe il seis chorreao di Puerto Rico l’abbiamo nelle interpretazioni di ballo. E’ un ritmo che va nel sangue ed i Portoricani lo interpretano per intuizione, eseguendo una combinazione di zapateo cubano e son montuno”.

“Non è meno certo – prosegue Rodriguez – che la prima pachanga composta è legata al merengue, come ho già detto in precedenza. Il testo di questa pachanga dice: ‘Señores qué Pachanga, me voy pa’ la Pachanga’ secondo un modello molto simile al merengue. ‘A la Rigola yo no vuelvo más’ ha un ritmo simile. Questa somiglianza fra la pachanga ed il merengue è stata la causa dell’accoramento di Pacheco, divenuto un magnifico interprete di questo ritmo cubano proveniente dal chivo e dal son montuno che oggi è diventato così famoso a New York”.

“Subito ci si è allontanati da questa prima pachanga e si è arrivati alla sua origine, il chivo ed il son montuno”. Questi pezzi lo confermano: ‘Dile a Malcolina que te toque el guiro’ è una copia di ‘Dile a Catalina que te compre un guayo’, solo con un paio di note cambiate. Óyeme Mulata è lo stesso son montuno di Cangrejo Fue A Estudiar.
ASCOLTA

Tra i sones montunos di Arsenio abbiamo: ‘El reloj de la pastora’, ‘Se acabó los guapos en Yateras’, ‘Dame un chachito para guele’, ‘Tocoloro pájaro que nunca vuela’ e ‘Yo no engaño a las nenas’. “In questi sones montunos, oltre agli strumenti già citati dei conjuntos, vengono affiancati il flauto ed un violino e nasce la pachanga.”

Fu Arsenio Rodriguez a portare il son montuno a New York. Arsenio arriva nel 1927 dalla Playa de Marianao, a La Habana, per imporre questo ritmo. “Ciò che un tempo si chiamava capetillo, venne rinominato mambo, più tardi cha-cha ed ora, stanchi di tanti accordi dissonanti con la possibilità di sentire altri ritmi, hanno trasformato quello che si chiamava chivo con meno armonizzazioni rispetto al son montuno: la qual cosa è stata la mia grande caratteristica come interprete”.
“Quando lo chiamai mambo lo ha adottato Pérez Prado e quando sono tornato a chiamarlo son montuno, hanno aggiunto flauto e violino. E’ stato ripreso da Fayardo e Argon ed ultimamente da Palmieri e Pacheco, e tutto questo nel Bronx. ¡Qué cosas tiene la Pachanga!”

“E per concludere dirò – dopo aver chiesto perdono per l’immodestia – che io, Arsenio Rodriguez, sono stato il padre della creatura ora chiamata pachanga.”
Quando il reporter si congeda da Arsenio, dopo aver sentito la sua relazione sul chivo, il capetillo ed il son montuno convertito in mambo e più tardi in cha-cha, ai nostri orecchi rimangono come un’eco la musica e le parole di: “¡Señores qué Pachanga!…Me voy pa’ la Pachanga!…¡Señores que Pachanga!…¡Me voy pa’ la Pachanga!”.

Cortesia di www.herencialatina.com

L’organo Hammond nella salsa

di Tommy Salsero

Con questo titolo inauguriamo una nuova serie di articoli dedicati ad alcuni strumenti elettrici che hanno rivestito un importante ruolo all’interno della musica Salsa e di altri generi latini.

Cos’è l’Hammond?

Organo Hammond

 

Questo organo elettrofonico a motore è un simbolo per generi musicali come Jazz, Blues, Gospel, Soul, Rock, ecc.

Anche nella musica latina l’organo ha avuto un suo momento d’oro e chi non poteva permettersi un vero Hammond, ingombrante e costoso, lo sostituiva con versioni portatili e più economiche, come quelle prodotte dalla casa marchigiana Farfisa.

Nel campo del Latin Jazz si è usato e si usa tutt’ora l’Hammond, mentre nella Salsa si sono utilizzati, tranne per rari casi che vedremo in seguito, organi portatili ed economici come appunto il Farfisa Compact , il Vox continental , l’Ace Tone e tanti altri che potete trovare a questo indirizzo web:

www.combo-organ.com

Il suono Hammond però è davvero unico, un suono caldo ed avvolgente, grazie anche al suo amplificatore rotante Leslie

(che vedete nella foto) che ha reso questo strumento un vero e proprio oggetto di culto, la Rolls Royce degli organi elettrici.

Purtroppo il costo dell’Hammond era proibitivo per i gruppi di salsa o di altri generi caraibici; del resto, la nostra amata Salsa era musica del barrio e per questo i gruppi si affidavano principalmente alla Farfisa.

La Farfisa invece era leader per la costruzione di organi che erano diffusissimi anche in gruppi noti come i Pink Floyd ed i Doors, per quanto riguarda il Rock, o i Tangerine Dream, Jean Michel Jarre, ecc. nel campo dell’elettronica.

La Farfisa aveva un suono acido dovuto alla distorsione dei transistor in fase di uscita del segnale dai VCA e proprio per questo suono “elettronico” si prestava facilmente ad essere trattato con effetti esterni come Phaser, distorsori o Chorus.

E’ in parte merito di questo che ebbe il suo successo anche in gruppi come appunto i Pink Floyd, i quali non avevano certo problemi economici (ma che per le parti di organo usavano un bel C3 Hammond!).

Chi suonava l’Organo elettrico e perchè?

L’organo elettrico, usato nelle chiese americane per suonare Gospel, Blues e Jazz, divenne rapidamente un’icona degli anni 50.

Ma è negli anni 60 che conobbe la sua massima diffusione attraverso il Soul, il Rock ed il Beat.

Anche la musica latina soprattutto a New York si impossessò di quei suoni come racconta Eddie Palmieri in questa intervista.

Anche se ci furono alcuni esperimenti commerciali come quelli del Mambo Rock di Perez Prado, colui che diventò un’icona dell’organo latino fu Charlie Palmieri. Quest’ultimo fu la massima espressione nell’uso dell’organo nella musica salsa, nonostante anche lui utilizzasse un Farfisa Compact! Lo stesso che si vede in questo video:

Eddie Palmieri – Solo Piano Live 1970s

Sulla scia di Charlie l’organo venne utilizzato anche da tante altre orchestre come l’orchestra Zodiac a Portorico, e da tanti altri gruppi degli anni 60/70 in America Latina (di cui parleremo nella seconda parte); ma si tratta purtroppo quasi sempre di organi elettrici portatili ed economici.

Il più delle volte questi grandi musicisti sopperivano alla mancanza di strumenti adeguati, a causa delle loro ristrettezze economiche, con il proprio talento.

Per sentire un vero Hammond invece dovete ascoltare i gruppi di Latin Jazz come il celebre quintetto di Cal Tjader, un genio che coniugava una ritmica eccelsa insieme a Mongo Santamaria e ad altri straordinari jazzisti.

Fra questi non possiamo non citare Clare Fisher o Dick Hayman.

Pensate che Dave Pike si permise il lusso di avere Herbie Hancock all’organo!

Johnny “Hammond” Smith insieme a Ray Barretto ed in tempi più recenti il grande Poncho Sanchez registrano sempre con un Hammond.

Un altro capitolo riguarda il Latin Soul vista l’attinenza con i grandi della musica Afroamericana con artisti come Pucho & The Latin Soul Brothers, Willie Bobo, Mongo Santamaria, Ralfi Pagán, Candido Camero, ecc. che hanno registrato spesso con organo Hammond e piano elettrico Fender Rhodes.

Sicuramente l’esempio più importante per chiunque suoni l’organo Hammond viene dal gruppo di Carlos Santana di cui parleremo in dettaglio nella seconda parte dell’articolo.

In seguito con il boom della Fania si cominciarono ad ascoltare dischi con Fender Rhodes, Minimoog, Yamaha CP 70 ovvero i migliori strumenti elettrici dell’epoca.

Un esempio è il grandissimo disco della Fania All star “Latin Soul Rock” dove uno straordinario Jan Hammer duetta con il celebre organo Hammond!

Nella seconda parte vedremo più in dettaglio gli album più importanti per l’uso dell’organo nei vari generi Latin Soul/Rock, Salsa e Latin Jazz.

La Bodeguita del Medio

La bodeguita del medio compie settant’anni!

La Bodeguita del Medio
La Bodeguita del Medio

Ubicato nel cuore dell’Habana come uno dei suoi più illustri angoli boemi, la Bodeguita del Medio, il più famoso bar di mojito cubano, ha festeggiato ieri settant’anni di vita diventando un’autentica icona dell’identità popolare cubana.

La vivace musica dal vivo, i piatti criolli, la iconografia di colori e le tavole rustiche sono alcune delle caratteristiche tipiche del locale visitato da migliaia di turisti ogni mese, però sono soprattutto due gli ingredienti che hanno reso famoso questo posto che era nato come semplice bottega per la vendita di alimentari sette decadi fa nel quartiere dell’Habana vecchia: la bevanda alcolica chiamata mojito e i graffiti.

Come si prepara il mojito alla Bodeguita

Somalia Pérez, amministratrice della Bodeguita, racconta che il locale deve principalmente il suo successo al mojito, che è la bevanda caratteristica della casa, nonostante il cocktail di rum, menta e zucchero non fosse nato lì, ma fu dove divenne famoso internazionalmente anche grazie al contributo di Ernest Hemingway, il celebre scrittore Statunitense che fece dell’isola la sua seconda patria.

Lo scrittore premiato con il Nobel per la letteratura, che era un conosciuto amante dei cocktail cubani, scrisse in una parete del locale:” il mio mojito nella Bodeguita e il mio daiquirí nella Floridita”, anche per rendere pubbliche le sue abituali visite a due dei bar più emblematici dell’Habana.

Il primo a lasciare dei graffiti fu il poeta cubano Nicolás Guillén. Da allora, migliaia di visitatori di tutto il mondo hanno lasciato le loro firme o dediche nelle pareti della Bodeguita.

Artisti come l’attore statunitense Errol Flynn o il messicano Mario Moreno “Cantinflas” sono fra i più celebri ospiti della famosa  locanda dell’Habana. “La Bodeguita deve il suo nome agli artisti, a tutte quelle persone anticonformiste che venivano qui”, racconta Somalia Pérez sugli inizi dorati del bar negli anni precedenti alla rivoluzione cubana del 1959.

La Bodeguita del Medio fu fondata nel 1942 da Angel Martínez, un imprenditore arrivato all’Habana dalla città di Villa Clara, situata nel centro dell’isola. Anche se agli inizi era solo un negozio di alimentari, presto divenne famosa per i buoni piatti casalinghi fino alla definitiva trasformazione in ristorante nel 1950.

Il locale si trovava nel mezzo della strada, contrariamente a quanto avveniva di solito per i bar che erano abitualmente ubicati negli angoli, per quel motivo il proprietario decise di chiamarlo “la piccola cantina del mezzo”.

Da allora La Bodeguita si è convertita in un autentico centro di richiamo turistico per l’isola che vive in gran parte grazie agli introiti derivanti da visitatori stranieri.

“Dicono che facciano il miglior mojito cubano”, racconta convinto Jorge, un turista argentino di 32 anni davanti all’ingresso del bar. “E’ stato un pezzettino di Cuba che abbiamo offerto a ognuno dei visitatori che sono venuti a trovarci in questi settant’anni”, commenta Somalia Pérez.

Il famoso bar della calle Empedrado 207 a La Habana Vecchia è stato nazionalizzato nel 1968 ed è amministrato dal 2008  dal Ministero del Turismo, che a volte pubblicizza il marchio anche all’estero. Sono almeno sei i paesi che hanno locali patrocinati dalle autorità cubane con il nome della Bodeguita del Medio, fra questi il Messico, la Repubblica Ceca e l’Ucraina.

Español

El más famoso bar del mojito cubano está de aniversario. Ubicada en el corazón de La Habana como uno de sus más ilustres rincones bohemios, la Bodeguita del Medio cumplió ayer 70 años convertida en un auténtico icono de la identidad popular cubana.

La bulliciosa música en vivo, los platos criollos, la iconografía de colores y las mesas rústicas son algunas de las marcas típicas de la casa visitada por miles de turistas mes a mes. Pero son sobre todo dos ingredientes los que hicieron famoso al local nacido como una simple bodega de víveres hace siete décadas en el barrio de La Habana Vieja: el trago llamado mojito, y sus grafitis.

La Bodeguita “se hizo famosa sobre todo por el mojito, que es la bebida emblemática de la casa”, cuenta la administradora, Somalia Pérez. El cóctel de ron, hierba buena y azúcar no nació en la Bodeguita, pero fue ahí donde se internacionalizó, asegura. A ello contribuyó Ernest Hemingway, el célebre novelista estadounidense que hizo de la isla su segunda patria.

El escritor, un conocido amante de los cócteles cubanos, se inmortalizó en una pared del local: “Mi mojito en la Bodeguita y mi daiquirí en el Floridita”, escribió en inglés el Nobel de literatura sobre sus habituales visitas a los dos bares más emblemáticos de La Habana.

El primero en dejar un grafiti fue el poeta cubano Nicolás Guillén. Desde entonces, miles de visitantes de todo el mundo han estampado sus firmas o pergeñado dedicatorias en las paredes de la Bodeguita.

Artistas como el actor estadounidense Errol Flynn o el mexicano Mario Moreno “Cantinflas” están entre los más célebres huéspedes de la conocida fonda habanera. “La Bodeguita debe su nombre a los artistas, a todas esas personas de vida bohemia que venían acá”, dice Somalia Pérez sobre los inicios dorados del bar en los años previos al triunfo de la Revolución Cubana en 1959.

La Bodeguita del Medio fue fundada en 1942 por Angel Martínez, un emprendedor llegado a La Habana desde la ciudad de Villa Clara, en el centro de la isla. Aunque en sus inicios era sólo una tienda de víveres, pronto se hizo conocida por sus buenos platos caseros y Martínez decidió refundarla oficialmente como restaurante en 1950.

Le puso entonces el nombre con el que conocían los parroquianos coloquialmente a la tienda ubicada de manera inusual en el medio de la calle, a diferencia de las típicas bodegas de la Habana prerrevolucionaria situadas siempre en las esquinas.

La Bodeguita se ha convertido desde entonces en un auténtico imán turístico para la isla, que vive en gran parte de los ingresos que generan los visitantes extranjeros.

“Dicen que hacen el mejor mojito cubano”, cuenta convencido Jorge, un turista argentino de 32 años a la entrada del bar. “Ha sido un pedacito de Cuba que se le ha ofrecido a cada uno de los visitantes que ha tenido la Bodeguita en estos 70 años”, comenta Somalia Pérez.

El famoso bar de la calle Empedrado 207 en La Habana Vieja fue nacionalizado en 1968 y es administrado desde 2008 por el Ministerio de Turismo, que promociona en tanto también la marca en el extranjero. Hasta seis países cuentan ya con locales patrocinados por las autoridades cubanas bajo el nombre Bodeguita del Medio, entre ellos México, la República Checa y Ucrania. l (DPA)

Guaguanco o Salsa? Storia del Son-Guaguanco!

Ultimamente con il ritorno sulle scene della salsa classica molti si sono accorti di un genere chiamato semplicemente “Guaguanco” che ritorna spesso nei testi di moltissimi pezzi, soprattutto degli anni ’60.
Per spiegare la sua storia e vedere come negli anni questo genere si sia evoluto in molteplici direzioni, in paesi come Puerto Rico o in città come New York,  faremo un passo indietro nei primi anni ’40 a Cuba.
Esistono due Guaguanco nella isla grande, il primo appartenente al complesso generico della Rumba e il secondo appartenente al complesso generico del Son. Quest’ultimo nasce nei primi anni ’40 ad opera del più importante rinnovatore della musica cubana: Arsenio Rodriguez.
Arsenio introdusse proprio in quel periodo (1940) le congas all’interno della formazione classica di Son: il Conjunto.

Arsenio Rodriguez

Tra i ritmi che videro la luce inizialmente ci furono il Son Montuno, l’Afro Son e il Son Guaguanco.
La Rumba Guaguanco, con la classica clave 3/2 con il terzo colpo spostato sul levare del quattro non fu diffusa e popolare fino alla fine degli anni ’50, al contrario il Guaguanco piu’ popolare fu proprio quello di Arsenio Rodriguez.

Ma vediamo le differenze tra i due.

Il Son Guaguanco è basicamente un Son, con la classica clave 3/2 o 2/3, che utilizza i bongos negli anni ’30 e successivamente, a partire dagli anni ’40, le congas (in comune con la Rumba Guaguanco); si caratterizza per l’introduzione chiamata “Diana” che è tipica della Rumba e la possiamo riconoscere per il canto melodico derivato dalla musica Andalusa, con il tipico intro “la le lo lay, le lo lay”!
Si tratta questo di un riferimento ovviamente cantato all’inizio del pezzo, ma poi il brano scorre come un normale Son, si utilizzano il Tres, i Bongos, Maracas e Guiro e gli strumenti a fiato, di solito 4 trombe.
Il piano accompagna l’inizio del canto “Diana” con un arpeggio caratteristico a ottave parallele e che tutti hanno sentito almeno una volta nei brani di Salsa.
Il tempo di esecuzione è quello tradizionale del Son, mentre le congas richiamano a volte alcune forme utilizzate nella Rumba, soprattutto nella prima parte.
Si tratta come vedete di un omaggio al folklore “nero” di Cuba che Arsenio ha voluto mettere nel “bianco” Son.
Il Son Guaguanco ottenne un buon successo in breve tempo, anche se non al livello del Son Montuno, che invece invase tutto il Caribe e gli Stati Uniti.
Arsenio, cieco per un incidente quando era ancora bambino, decise alla fine degli anni ’40 di trasferirsi a New York, dove sperava di curare la sua malattia.
Arrivato negli Stati Uniti intorno al 1950, scoprì suo malgrado che nessuno avrebbe potuto ridargli la vista, ma sicuramente il suo arrivo portò tutta la sua genialità nel comporre musica e creare nuovi ritmi.
La sua Hay fuego en el 23 divenne in breve tempo un grandissimo successo, ancora oggi uno degli standard universali della Salsa!

Il successo pero’ non gli fu decretato subito, Arsenio arriva in pieno boom di Latin Jazz, Mambo e Cha Cha Cha, suonate da enormi Big Band come quelle di Beny Morè, Machito, Tito Puente e Tito Rodriguez.
Il suono del suo Conjunto tradizionale era fuori tempo per quel periodo…oppure, (e il tempo gli darà ragione) troppo avanti!
Il Son Guaguanco a Cuba rimase ancora attuale per qualche anno, grazie al conjunto Chapottin, grande trombettista che eredita tutta la band di Arsenio, che era partito da solo per la sua avventura americana,(suonava infatti a New York con un gruppo portoricano), ma la sua storia a Cuba finisce alla fine degli anni ’50, quando la “Revolucion” fa sparire ogni riferimento alle Big Band americane e le forme folkloriche tradizionali cubane come la Rumba, rifanno la loro comparsa imponendo l’autentico Guaguanco folklorico.
Come spesso accade, alcune forme artistiche nate in un posto si trasformano continuando a vivere di nuova linfa altrove.
E’ il caso del Danzon in Messico o del Bolero in America Latina o del Mambo a New York! Proprio qui nella Grande Mela, passato il boom del Mambo, del Cha Cha Cha e dopo la fugace apparizione della Pachanga che ebbe i suoi momenti di gloria dal 1960 al 1963, il Son Guaguanco divenne un punto di riferimento per tutti quelli che non vollero piegarsi al successo del Latin Soul, nelle sue varie forme di Boogaloo e Shing A Ling.
Ovviamente non poteva rimanere nella sua forma originaria, troppo lenta e priva di arrangiamenti sofisticati.
A trasformarla e a renderla appetibile ci pensarono Tito Puente e soprattutto Tito Rodriguez. Si cambiò la base sostituendo il Son con la Guaracha, ritmicamente molto più veloce, mantenendo però la “Diana” e gli altri riferimenti “Afro” della versione originale ed arrangiandola in chiave Jazz!
Con Tito Rodriguez si fa anche piu’ marcato l’uso della figura ritmica della cascara, che sostituisce quella classica del Son, con la campana Bongò.
La cascara (figura ritmica che troviamo nella Rumba) sarà una delle caratteristiche del nuovo Guaguanco.
Il successo arrivò subito e travolse Puerto Rico, dove la splendida voce di Tito Rodriguez ebbe la meglio sulle percussioni del grande Tito Puente.

Tutti i gruppi dell’epoca nella Grande Mela ne furono influenzati tanto da far nascere l’etichetta di NEW YORK GUAGUANCO.

A Puerto Rico però si ebbe la più importante variazione del nuovo genere: alcuni gruppi, intorno al 1965-66 tra cui Mon Rivera, Richie Ray e Bobby Cruz, aggiunsero al nuovo Guaguanco alcuni ritmi del folklore portoricano, come il ritmo Jala Jala o il Sicà fondendolo assieme ai nuovi arrangiamenti provenienti dalla Grande Mela, come il Soul e il Rhythm and Blues.

Di fatto questa “mezcla” qualche anno più tardi avrebbe preso il nome di Salsa, ecco perchè molti chiamavano a Puerto Rico Guaguanco, quello che a New York chiamavano Salsa! La fine del genere viene decretato proprio dalla Salsa, che con nuovi suoni e ritmi (tra cui la Rumba Guaguanco) amplia quella fusione musicale che aveva reso celebre il N.Y. Guaguanco. A Puerto Rico comunque viene registrata l’ultima perla del genere ad opera del grande Roberto Roena in un bellissimo disco del 1977 :
La Octava Maravilla (Fania INT 914)

In questo splendido disco troviamo l’ultima fusione, il Guaguanco con la musica brasiliana, come nel meraviglioso brano Rico Guaguanco dove si fondono la Samba con i suoi strumenti tipici come la “Cuica”o il “Berimbau”, con il Guaguanco.

 

Ahi,que Rico y vario es el Guaguanco!

by Tommy Salsero

Ci lascia Don Luis Rospigliosi Carranza, il papà della salsa peruviana.

Lima 31 agosto 2011

Purtroppo abbiamo appena appreso della recente scomparsa di Don Luis Rospigliosi Carranza conosciuto come il “papà della salsa peruviana”.
Aveva 86 anni.
Luis Rospigliosi era diventato una vera e propria icona della salsa grazie al bar ristorante “El Sabroso”, situato nel porto di Lima, che si era trasformato sin dalla sua costruzione avvenuta negli anni cinquanta, in un punto di incontro per tutti gli amanti del genere.

Lucho Rospigliosi
Don Lucho Rospigliosi.Foto tratta da: http://afiladapluma.blogspot.com

Ripasso storico sui 40 anni del Boogaloo e dello Shing-a-ling

di ©Israel Sánchez-Coll e ©Ian Seda
traduzione a cura di Dudu e Silly
Prima parte

Herencia Latina con questa edizione di Febbraio – Marzo del 2005 celebra i primi 40 anni del rinnovamento musicale avvenuto a metà degli anni 60, nel settore ispanico dell’Harlem detto anche “barrio”, dove la prima generazione di giovani portoricani nati nella città di New York o la terza generazione di portoricani radicata lì, vide crescere il meraviglioso ritmo musicale chiamato Latin Boogaloo ed il suo fratello minore, lo Shing- A – Ling.

L’apice del successo fu nel 1965, anno dove il corso della musica latina cambiò quando un nuovo ritmo fu creato dai ballerini Afro Americani, che celebravano i loro incontri nel Club Palm Garden, ubicato nel “Midtown” di Manhattan, nella città di New York.
I ballerini furono travolti dalla musica di Pucho Brown y sus Latin Soul Brother, ma anche da gruppi specializzati nella musica latina come quelli di Pete Rodríguez, Joe Cuba e Johnny Colón; senza dubbio è al trombettista, compositore e arrangiatore Tony Pabón che dobbiamo molto; fu infatti il primo musicista al quale si attribuisce l’utilizzo delle tinte latine alla musica Boogaloo degli Afro Americani, quando compose Pete’s Boogaloo per Pete Rodríguez. (Salazar 1977).

La disputa per l’elaborazione del menzionato ritmo è ancora attuale.
Lo reclamano per i suoi effetti diversi attori principali:

1. Tony Pabon incise la sua famosa Pete’s Boogaloo che, come sostenne lo scomparso Disc Jockey Symphony Sid Torin, fu il primo boogaloo suonato alla radio di New York. Inoltre, Pete riuscì a sfondare nei primi locali con un altro boogaloo, “I Like It Like That”.

2. Joe Cuba y su Sexteto per la sua famosa canzone Bang Bang (Push, Push), la quale restò per dieci settimane nella classifica del Billborad e fu una delle poche registrazioni latine a raggiungere un successo musicale nel mercato Anglosassone.

3. Johnny Colón per il tema “Boogaloo Blue”, e 4. Héctor Rivera con il suo già mitico pezzo “At the Party”, canzone che nel 1966 occupò il posto 26 nella classifica del Billborad per otto settimane.
D’altra parte Ricardo Ray è stato considerato come il primo innovatore del ritmo per il suo album Jala Jala y Boogaloo registrato nel 1967.

Boogaloo to Salsa Clips from Mathew Warren.
 

Joe Bataan è considerato il padre del Latin Soul per i suoi famosi lavori che troviamo specialmente nell’album “Riot”, mentre Pucho Brown è identificato come il musicista che costruì un ponte tra il boogaloo afroamericano ed il Latin Boogaloo.

Joe Cuba e Jimmy Sabater contribuirono molto alla crescita di questo ritmo musicale, come spiega il professor Flores nel suo libro(From Bomba to hip hop 1999), dove racconta: “Jimmy Sabater ricorda la notte nella quale il suo direttore Joe Cuba esaudì le sue preghiere per suonare una canzone che già da molto tempo lo stava inspirando”.

Arrivò così il successo.Era l’anno 1966 e successe nella sala da ballo del The Palm Gardens Ballroom nel Midtown Manhattan; il salone era pieno.
Sabater racconta:

“Era un ballo dei neri americani di Harlem – Come voi sapete- prosegue, – nel Palm Gardens si organizzava un ballo ogni settimana per le persone di colore e si organizzavano anche da altre parti. In questo modo riuscimmo a provare le canzoni del nuovo album: “Estamos Haciendo Algo Bien” (We Must Be Doing Something Right), che stava per essere presentato sul mercato, e dove si trova “El Pito” (I’ll never go back to Georgia, never go back).Avete Presente?
Il luogo era pieno di gente e quando suonavamo Mambo e Cha Cha Cha e nessuno andava a ballare o era coinvolto. Alla fine del primo tempo, andai da Joe Cuba e gli dissi preoccupato:”Guarda Sonny (che era il suo soprannome) io ho un’idea, proviamo a suonare in maniera da coinvolgere la gente”. Joe mi rispose:”No, no, no, noi dobbiamo continuare a suonare le canzoni del nuovo LP”.
Allora, quando stava per iniziare la seconda parte del concerto mi avvicinai di nuovo a Joe e lo pregai, a quel punto mi disse:”Guarda Jimmy, va bene, se sto sbagliando ci fermeremo e ti pagherò il doppio”.
La situazione continuò senza cambi. Finalmente, Joe mi si avvicinò e disse: “OK”. Passai dal piano e dissi a Nick Jiménez, “Suona questo”… Prima di ritornare al timbal la gente aveva riempito la pista e cantava“bi-bi hah!, bi-bi hah!”.

Anche Joe Cuba ricorda questo evento, “le coppie improvvisamente iniziarono a ballare da una parte all’altra, qualcosa di simile ad una ola (onda), e cominciarono a cantare:” ella es libre, ella es libre”, qualcosa di simile ad un salmo tribale africano e continuarono a ballare”.


Johnny Colón “Echa la pa ca, tirala pa alla, esa mulata tiene candela”

Di grande interesse risultano le risposte che il maestro Johnny Colón diede all’intervista che gli fece lo scomparso giornalista di New York Vermon W.Boogi, quando questo gli chiese di dire se lui (Johnny Colón) fu uno dei padri fondatori del Boogaloo, al che Colón gli rispose:

“Io non penso di essere il padre fondatore del Boogaloo.
Mi colloco come parte di questo processo. Richie Ray fece un brano chiamato “Lookie Lookie”, però non è stato considerato nella sua essenza un boogaloo e sebbene l’idea ed il concetto erano molto vicini, però fu un boogaloo molto veloce.
Il boogaloo nella sua essenza era lento.
Un altro ragazzo che fu stigmatizzato – e questo mi anticipò – se lo considerate nell’era del boogaloo e gli date credito, fu Pete Rodríguez con “I Like It Like That” e “Micaela”.
Anche se fu più un tentativo di boogaloo, però tornando alla discussione, non fu totalmente un tentativo di boogaloo, giacchè “Micaela” non fu realmente un boogaloo ma una tonada latina.Noi arrivammo al boogaloo quando questo realmente cominciò a mischiarsi, dato che in precedenza fu solo un tentativo di modificare il blues ed i suoi accordi.
Non fu propriamente Latin Music, ma più una fusione di musica latina con musica jazz. Il boogaloo sperimentale fu una combinazione di musica latina con rhythm and blues (musica nera) e penso che sia molto simile al “Jumpy”.
“Adesso se ascoltate attentamente il mio tema el “Boogaloo Blues”, potrete ascoltare influenze di jazz. E la mia ispirazione fu una canzone chiamata “Sayonara Blues” di Horace Silver e anche usai “No Mo Shake” dello stesso autore. Le sue linee sono bellissime.
In altre parole, Horace fu il catalizzatore per la mia creatività, mi servì per esplorare e scoprire…fui un fanatico di Horace Silver”

 

 

 


Il Maestro Joe Bataan in Spagna 2004

 


Il Maestro Joey Pastrana

 

Prosegue Johnny: “Penso che lei darebbe probabilmente credito a Ricardo Ray, forse perchè lui realizzò la canzone “Lookie Lookie”, e prima che (mi chieda), se io do credito a qualcuno al quale si ispirò Ricardo Ray, io penserei – se lei ha ascoltato la sua musica – a Mongo Santamaría.
Ha ascoltato “Watermelo Man”. Fra quelli che si nominano c’è Joe Bataan, il quale iniziò a suonare boogaloo solo successivamente (mesi dopo). Penso che la sua musica non si possa definire boogaloo, però fu una fusione molto ben fatta di musica Latina e ‘American rhythm and blues’ . . . dopo Joe Cuba con Bang Bang, arrivarono i Lebrón Brothers; io fui loro produttore anche se non mi diedero credito nei loro LP.
George (Goldner) — produttore della Cotique — mi domandò se potevo aiutare i ragazzi per registrare, mi spiegò:” Ho bisogno di una persona nello studio che possa comunicare”.

Vista la mia esperienza precedente di produttore, io decisi di aiutarli con le armonie, dato che alcune presentavano degli errori. In questo modo registrarono il loro primo LP. Ho anche aiutato un gruppo chiamato “The Latines”.
Fra i “The Latines” e i “Lebrón Brothers” c’era Joey Pastrana, anche lui fu aiutato da me nella produzione. Furono dei ragazzi molto felici durante questa era (quella del Boogaloo).

In un’intervista che facemmo con Ricardo Ray e Booby Cruz verso metà Dicembre del 2005, presso il negozio di dischi di Viera per il lancio del suo disco “Que Vuelva la Música”, Bobby Cruz ci disse: “Il primo Boogaloo lo abbiamo registrato noi e si chiama “Lookie Lookie Boogaloo”. Pete Rodríguez arrivò un anno dopo, mentre noi registrammo questa canzone nell’album “Se Soltó” se non ricordo male”. Era il 1964, (interviene Ricardo Ray).
“Si era il 1964 continua Bobby, e fu il primo boogaloo , affinchè lo possiate ricordare”. “La verità è que Pete Rodríguez fece un gran pezzo che si chiama: “I Like It Like That”, però non bisogna dimenticare che Joe Cuba a sua volta registrò un altro tema sensazionale “Bang Bang (Push, Push)”.
“In verità il boogaloo come tale lo inventò Chubby Checker e noi lo rendemmo latino con “Lookie Lookie” che è cantata in inglese, dopo questa canzone realizzammo un album totalmente di boogaloo che si chiama: “Let’s Get Down To The Real Nitty Gritty”, allora venne Pete e suonò in maniera mostruosa con “I Like It Like That”.
Però queste cose bisogna controllarle con la storia, bisogna osservare le date in cui uscirono “I Like It Like That” e “Lookie Lookie Boogaloo”.


I ragazzi del The TNT

I Lebrón Brothers

Joey Pastrana

Prima che il boogaloo entrasse sulla scena con il cambio generazionale fra il finale degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta, la musica latina che si ascoltava a New York era composta da mambo, pachanga e dalle orchestre tipiche cubane o charangas; il locale che tirava per la maggiore era il Palladium Ballroom, almeno fino al 1961, quando il Palladium iniziò ad avere problemi con le autorità della città di New York a causa di una retata che venne fatta dalla polizia a seguito di una soffiata da parte di alcuni agenti infiltrati che portarono al sequestro di una partita di liquore adulterato.
Le multe ed il ritiro della licenza per vendere bevande alcoliche furono il mezzo per punire la famosa sala da ballo. La perdita di clienti ed il poco interesse nel consumare solo bevande analcoliche portarono alla chiusura del locale il 5 Maggio del 1966. La chiusura del Palladium marcò definitivamente la fine dell’era del Mambo e delle grandi orchestre; inoltre come in un effetto domino portò anche alla fine di altri ritmi di moda a quei tempi: la Pachanga e la Charanga.
Per queste orchestre sarebbero arrivati momenti molto difficili.
Un’altra cosa singolare che vale la pena ricordare è la seguente: il giorno della chiusura del Palladium, fra le orchestre che erano state messe sotto contratto ne appaiono due che casualmente sono quelle di maggior successo e quotate nell’ambiente del Boogaloo: “La Magnífica de Pete Rodríguez” e “la Orquesta de Ricardo Ray”, quasi come se il nascente boogaloo partecipasse all’addio ed alla chiusura del Palladium. (le altre due orchestre furono: La Orquesta de Eddie Palmieri e la Orquesta Broadway)
Nel frattempo arrivarono altri successi; Pucho Brown, un Afro Americano che incominciò registrando ritmi Afro-Cubani nel 1960 e parlando della decade del boogaloo disse:”I gruppi Afro-Americani furono i primi a introdurre il boogaloo nei primi anni sessanta. . . essi unirono un “back beat” (movimento ritardato) al rhythm and blues e da lì emerse il boogaloo.” Nel 1966 il mercato afro americano stava acquistando importanza negli Stati Uniti; il momento era ormai maturo per il nuovo ritmo che avrebbe soddisfatto la domanda di registrazioni di musica afro americana e latina.


Il Maestro Pijuan y su Sexteto

il Gran Pucho Brown y sus Latin Soul Brothers

ed il Maestro Ray Barretto
Fine prima parte

Ray Barretto nell’anno 1961 registrò per la casa Tico Records il suo maggior successo commerciale: “Watusi”, tema che divenne rapidamente famoso e che entrò anche nella classifica del Billboard, rimanendo per 13 settimane alla posizione numero 5. Il pezzo prendeva spunto da un brano di Hank Ballard y los Midnighters intitolato “Let’s Go, let’s Go”.
Nel 1963 Mongo Santamaria entrò nella Top 10 con il suo primo successo Watermelon Men, composizione scritta da Herbie Hancock e nel 1965 la casa discografica Tico registrò il grande successo di Eddie Palmieri “Azucar pa’ ti” che attrasse molti neri interessati a ballare i ritmi latini.
Questi tre pezzi sono da segnalare come quelli di primaria importanza, nei quali sono presenti i primi ingredienti del Latin Boogaloo e dello Shing – A – Ling.

Gli episodi accaduti al Palm Garden Club, sia con “La Magnífica de Pete Rodríguez” che con il “Sexteto di Joe Cuba”, saranno utili per far comprendere la funzione sociale del Boogaloo. Effettivamente, come vicini e compagni di lavoro, gli afroamericani ed i portoricani del quartiere di Harlem hanno condiviso per molti decenni le proprie tradizioni orali, la cultura, gli amori, le disavventure e le frustrazioni. Entrambe le comunità frequentavano i club del luogo dove si dilettavano ascoltando le proprie bande preferite indipendentemente dal fatto che fossero latine o nere. Queste bande erano in grado di dar vita da un momento all’altro a fusioni musicali per compiacere tutti i presenti.
Così era possibile vedere nella stessa circostanza suonare gruppi afroamericani come The Suprems, The Temptations, Marvin Gaye, James Brown, Wilson Pickett, Joe Tex ed i latini Joe Cuba, Joey Pastrana, Lebrón Brothers,Eddie Palmieri, Pete Rodríguez, ecc.
Questa singolare “pentola a pressione ritmica” si sarebbe presto trasformata in un’insieme musicale di suoni attraenti e rivoluzionari.
In un articolo della metà degli anni sessanta sulla discoteca “Small’s Paradise” di Harlem apparso sulla rivista di gossip “New York Spy” c’era scritto: “Qui si può vedere l’autentico boogaloo, il phil dog, il jerk ed il truck”.


Sex Simbols, i simboli sessuali: Sono i ragazzi de “La TNT” che posano con modi irreverenti, seguendo i padri della liberazione sessuale e la moda psichedelica degli anni 60. Un LP della Cotique.

Il successo del Latin Boogaloo demarca la storia della musica latina in quanto tappa di transizione e anche tappa di rottura con la continuità e le influenze in termini di stile musicale che venivano sviluppandosi dagli anni 40.
Questo è il momento nel quale si da indipendenza ai messaggi, si modificano le liriche, dato che le liriche di questo movimento non erano focalizzate verso la lontana Cuba o la chiassosa Habana, ma rispondevano maggiormente a nuove opzioni sociali. La predominanza dello spagnolo nelle canzoni cominciava già a calare a scapito dell’inglese. Anche il ballo iniziò a cambiare: dal soave cha cha cha e dal mambo si passa ad un ritmo con passi da “mezzi ubriachi” – leggasi quanto affermava Tony Pabón (nell’intervista che pubblicheremo prossimamente) – accompagnati da contorsioni del bacino, il corpo vibra e si unisce il “chasquido” delle dita.
Anche il modo di vestire cambia, i vestiti scuri e eleganti sono rimpiazzati dalle giacche, pantaloni azzurri e camicie con figure psichedeliche (una delle ultime orchestre a utilizzare abbigliamento da gala fu quella di Ricardo Ray).
Questo breve periodo fomentò l’esplosione musicale fatta di furore, frenesia delle comunità latina e afroamericana del Barrio; nel frattempo le 2 comunità vivevano il momento storico dei movimenti dei Diritti Civili, la nascita e la rivendicazione di movimenti radicali come “Las Panteras Negras”, il movimento civico portoricano del partito “Young Lords” e le lotte contro ogni forma di discriminazione razziale.
I cantanti Joey Pastrana, Héctor Rivera, Gilberto Cruz y su Sexteto, Joe Cuba, Ralphy Pagán, Joe Bataan, King Nando, Ralph Robles, Monguito Santamaría, El Sexteto New Swing, Frankie Nieves, Mario Allison, Pete Rodríguez ed i ragazzi della TNT beneficiarono al tempo stesso dell’immensa popolarità nel Barrio. Inoltre erano apprezzati in modo profondo per le loro ballate piene di soul con influenze di ritmi latini. Fernando “King Nando” Rivera diventò famoso per lo Shing – A – Ling, catturando l’attenzione del Barrio nella primavera del 1967 con la sua composizione “Fortuna”, ispirata dai ricordi di Portorico.

La Famosa Orquestra Cachana del Maestro Joe Quijano degli anni 60. ©Foto di Max Salazar.

“Lo del Boogaloo eso Pasara” – Joe Quijano

Nell’anno 1965, dopo aver inciso cinque LP per i marchi Battle e Riverside, Mongo Santamaria firma con la Columbia Records. Mongo vide aumentare la propria popolarità con gli LP El Bravo e Pussy Cat.
Nell’anno seguente la popolarità del boogaloo era in ascesa, cosa che contribuì a far diminuire in modo drastico il lavoro per le grandi orchestre.
Negli anni successivi il boogaloo esplose, tanto che sul mercato arrivò una grande quantità di gruppi giovanili che si dedicavano a questo nuovo ritmo.
La popolarità del Boogaloo “ferì” alcuni direttori delle grandi orchestre, che erano già famosi sul mercato latino e in modo tempestivo avvertirono la pressione della nuova corrente musicale; furono così letteralmente rifiutati dal mercato e questo fu evidente quando i contratti iniziarono a dimuire.
La situazione si fece “calda”.
Il maestro Joe Quijano con la sua Orquesta Cachana registrò un brano che avrebbe aperto la polemica contro il Boogaloo; il brano voleva togliere importanza ai lavori che stavano sviluppando i “nuovi ragazzi”.
Per dare veridicità a questo criterio abbiamo chiesto al maestro Quijano e questo è ciò che ci ha risposto: “Credo di esser stato ingiusto con i ragazzi”.Il brano prese vita mentre stavo provando nel Bronx Casino con l’Orquesta Cachana. Ad un certo punto entrò Johnny Pacheco che stava andando in riunione con Maceda per discutere di un contratto.
Ero furioso e borbottante contro il boogaloo, ci siamo diretti al laboratorio di Maceda e abbiamo parlato dell’ambiente musicale che aveva portato avanti il boogaloo e del fatto che questo stava andando alla grande”.
“Io dissi a Pacheco – dimenticati del boogaloo che passerà, io continuo con il mio montuno e non torno indietro. Mentre parlavo con Pacheco mi ricordai che quando andai a L’Habana si discuteva sul travolgente ritorno del Cha Cha Cha e Cabrerita aveva un coro molto popolare che diceva” (il maestro procede a cantarlo): “Io mi diverto ballando, lasciami col mio son, continua tu a saltare col tuo Cha Cha Cha”.
Da lì presi ispirazione per la famosa melodia.
Allora tornai dove i ragazzi della mia banda stavano provando e dissi a Paquito Pastor: “Paquito, suona questo”: “Il boogaloo passerà, io continuo con il mio montuno per divertirmi, ehh, il boogaloo passerà io continuo con il mio montuno per divertimi, affina Paco, (entra il piano di Paquito Pastor) Boogaloo, Boogaloo, fatti in là e non guardare in qua, boogaloo, boogaloo…”
E continuammo ispirati con il pezzo, facemmo i cori e un delizioso flauto di cinque chiavi suonato da Bobby Nelson; Paquito era fortissimo con i “guajeos” al piano, che era la base del boogaloo, la nostra prima tromba era Al Bryant e in quel brano brillò perché era esperto di boogaloo, lui è “sureño”. “per me il piano di Pete Rodriguez nel brano It Like It è preso dai “guajeos” di Moliendo Café.
Io incisi un LP intero di Boogaloo, Shing – A – Ling e un altro ritmo negro che non ha sperimentato nessuno, il “Wobble”. Lo si può trovare nel Vol.5 dell’Orquesta Cachana, sotto il marchio di Cesta Records.
“Pacheco non registrò mai boogaloo e shing-a-ling, era molto occupado a registrare le cose di Cuba, non era interessato alle nuove correnti musicali”
.

Il Gran Combo di Puerto Rico era restio all’idea di entrare a far parte del movimento del boogaloo, però visto che s trovava in un mercato dominato da tale ritmo si decisero a registrarlo.
Nell’anno 1967 escono con l’incisione “Boogaloo con el Gran Combo” con cui ricevettero il loro secondo Disco d’Oro (i brani erano: ¿Tu Querías Boogaloo? Toma Boogaloo, Baila Mi Shingaling, Navidades A Go Go, Se Quedo El Boogaloo, Boogaloo Con Bajo, Sway To And Fro, Shing A Ling For My baby, tra gli altri).


Bisogna sottolineare che in quel periodo già avevano registrato 12 album ma è nel momento di massimo successo del boogaloo, nel 1968, che il Gran Combo subì un duro colpo e per un periodo di cinque o sei anni fecero solo uno show del mezzogiorno nella tv di Puerto Rico e un programma radio quotidiano.
Il direttore del Gran Combo, il maestro Rafael Ithier commenta: “Alla lunga ciò ci ha danneggiati. Abbiamo smesso di vendere dischi e ci hanno allontanati. La crisi fu tra il 68 e il 71 però i ragazzi furono fedeli al gruppo e fecero molti sacrifici. Andy Montañez era ancora nostro cantante e gli fecero offerte che non volle accettare. In cambio ipotecò la sua casa per avere denaro per poterci fare un disco, perché ci cacciarono persino dalla compagnia dei dischi. Fu un gesto di grandezza che non dimenticherò mai.
Con il disco Don Goyo poi ripagammo completamente Andy. Più avanti sarebbe venuto il disco dal quale uscì la hit “Un Verano en Nueva York” che, assieme a “Las Hojas Blancas”, diede al Gran Combo una ventata di aria nuova.
“Fu una crisi violenta – aggiunse Ithier – Da allora abbiamo continuato più o meno bene. Chiaro, arrivò un momento in cui La Fania si accaparrò tutto. Non ci fu tanto crisi quanto un calo nella domanda perché c’erano troppe orchestre”.
Martínez. L. (2005)


Fine seconda parte

Mentre Mongo dichiara: “Il boogaloo non mi ha tolto nessun lavoro”. “Gli anni sessanta furono i miei anni migliori. Io ho suonato e registrato son montuno, pachanga, boogaloo, guajira boogaloo, jazz afro cubano, blues, soul, bossa nova e rock. Ho lavorato in molti locali e collegi, per di più in vari paesi. Avevo lavoro con sei mesi di paga anticipata”.

Nel 1969, Mongo Santamaria e la Columbia Records sciolgono il contratto. Mongo non segue i consigli di quelli che gli raccomandano di desistere dal registrare Latin Soul o Latin Boogaloo; Mongo continua a registrare per l’etichetta Atlantic Records musica Latin Soul e Rock, fino alla metà del 1972, momento in qui firma un contratto con l’etichetta Fania Records.

Jerry Masucci si gioca l’idea di non porre limiti affinché Mongo registri quel che desideri: El Pussy Cat, La Bamba, Bravo, Hey! Let’s Party, Mongo Mania (incluso nell’album “Cloud Nine” del 1969, e che fu un successo dei Los Temptations). Eddie Palmieri, nell’intervista che gli fece Laffitte (2002), ci svela alcune direttive di grande importanza: “Si, io mi ricordo bene quanto fu pregiudiziale quel momento, dal momento che non ero motivato da niente che si avvicinasse a… quel boogaloo”. “Alcuni gruppi giovanili lo stavano facendo e cantavano in inglese. Questa situazione mi spinse quindi ad effettuare alcuni cambiamenti”.
“Loro – le bande giovanili di boogaloo – andavano alla grande (erano richiestissime) e noi cominciammo invece a perdere lavoro”. “Mio fratello maggiore Charlie non trovò lavoro in nessun locale per un anno a causa dell’impatto causato dal nuovo suono del boogaloo”. “Fu come una pazzia e noi non ci adattammo… io personalmente non mi impegnai a suonare boogaloo. Non mi lasciai catturare, giammai, davvero… non avevo il feeling per farlo. Comunque ricordo che registrai alcune piccole cose che si possono chiamare Boogaloo o Shing-A-Ling, però furono più “tipiche” di qualsiasi altra cosa. Non ero messo male, in giro c’era poco lavoro, ma la crisi in tutti i modi ci riguardò; vede, il lavoro non si otteneva con facilità e una volta che lo avevi, non potevi fartelo scappare”. Ironicamente, alla fine della vita del Boogaloo, Eddie Palmieri incise un favoloso album intitolato “Champagne” e lo stesso accadde a suo fratello che registrò un LP intitolato “Charlie Palmieri – Latin Boogaloo”. La perdita di lavoro colpì anche le band di Tito Puente, Machito, Tito Rodriguez, Joe Quijano, Pacheco, Vicentico Valdés, Orquesta Broadway, Orlando Marín, Pupy Lagarretta, ecc.


La maggior parte dei maestri delle “big band” e di tutti i grandi degli anni 50 parlano di questo periodo con rancore. Per loro semplicemente era tramontata la buona musica cubana e al suo posto si suonava ora un disordine che utilizzava il son come uno straccio da cucina. In effetti questi anni risultarono eccessivamente duri e tortuosi.
Continua ad essere pietoso, ad esempio, ascoltare le ultime incisioni di Arsenio Rodriguez, uno dei grandi geni, che finì per registrare un boogaloo mediocre che non gli corrispondeva in nessun modo, così riassunse nel suo libro Cesar Rondón (1979).

… E La Lupe?

Tito Puente inizialmente attaccò i gruppi di boogaloo e si rifiutò di registrare, per breve tempo, il ritmo di moda ma alla fine si riconciliò con la nuova situazione della Grande Mela. La Lupe arrivò a New York nel 1962 e cominciò a cantare nel cabaret cubano La Barraca nel Midtown di Manhattan.
Mesi più tardi il maestro Mongo Santamaria, leggendo la rivista cubana “Bohemia”, venne a sapere che la cantante nelle sue performances canore era come posseduta dal demonio.
Dopo l’esilio, realizzò che avrebbe potuto incontrarla a New York. Incuriosito dal personaggio, la raggiunse per conoscerla alla Barraca.
Il 17 di dicembre del 1962 La Lupe registra con Mongo, per l’etichetta Riverside Records, “Mongo Introduce a La Lupe”.
Nel momento in cui il gruppo di Mongo Santamaria si esibisce con La Lupe al Teatro Apollo, al Club Triton, al Palladium Ballroom e in altri locali, lei viene immediatamente riconosciuta come la nuova stella latina. Nel 1964 La Lupe debutta con l’orchestra di Tito Puente nel Loews Boulevard Theatre del Bronx’s.
La Lupe fece di questo periodo il suo regno assoluto, nonostante la sua instabilità caratteriale. Quando Tito Puente uscì sul palco accompagnando con la sua Grande Orchestra la voce della Lupe, l’ambiente ne uscì rivoluzionato, giacchè l’elemento del canto, fino ad allora marginale, pungente, eterodosso, quasi impreparato, divenne l’armonia e al tempo stesso la rottura nei suoi spettacoli (“cantante gridona, disordinata e con mancanza di rispetto” così la definirono alcuni giornalisti del giro newyorkese)… In questo modo La Lupe, con la grande orchestra di Tito Puente, si avvicinò al Barrio. La Lupe arrivò per Puente al momento giusto. Con la Tico registrarono l’album di boogaloo “Puente Swings, The Exciting Lupe Sings” (1965). Dopo una registrazione con il marchio Tico, Puente ruppe con La Lupe, sfinito dal temperamento difficile della cantante.

A un certo punto entra in scena Ricardo Ray. con “Lookie Lookie Now, How I do the Boogaloo, Lookie Lookie Now!”
Se riguardiamo la scena della musica Latin Boogaloo o Latin Soul della metà degli anni 60, non possiamo non ricordare l’ammirato pianista Richie Ray. Nel 1966 esce sul mercato una sua produzione che si sarebbe autoproclamata come l’iniziatrice di un movimento di avanguardia che avrebbe invaso New York e che si sarebbe sviluppata, nella stessa New York, nel movimento chiamato SALSA.
Il disco “Se Soltó/On The Loose” portò al giovane e virtuoso pianista la fama di innovatore nella musica latina: con i brani come “Danzón Boogaloo” e “Lookie Lookie”, Ricardo Ray avrebbe imposto un accento latino al boogaloo, precedentemente associato al soul e al “rhythm and blues” afroamericano.

La proposta di Ricardo sarebbe coincisa con il suo arrivo alla “establo” della Alegre Records, e il suo colpo di genio fu molto ben fiutato dal produttore della casa discografica, Pancho Cristal. Infatti, nel momento in cui scade il contratto di Ricardo Ray con la Fonseca Records, il cofondatore della Fania Records, Jerry Masucci, si dimostra molto interessato a ottenerli per estendere il proprio catalogo di artisti che in quel momento includeva Bobby Valentín, Johnny Pacheco e Larry Harlow.

Dalle parole dello stesso Masucci “… negoziai con loro e ci mettemmo d’accordo per firmare un contratto di registrazione. Mai dimenticherò che avevo il contratto nella mia borsa, pronto per farlo firmare quando ci saremmo incontrati più tardi nel ristorante “La Barraca”. Per una qualche ragione il contratto non si firmò e ci accordammo di riunirci nel mio studio il giorno seguente. Il giorno seguente ricevetti una chiamata di Richie che mi diceva che il suo agente, Jose Curbelo, li aveva convinti a firmare con Tico Records. Questo mi insegnò un’altra lezione… il loro contratto con la Tico non durò molto e, scaduto quello, li feci firmare durante una delle loro prove. Mai dimenticherò che, scendendo le scale con il contratto firmato in mano, il proprietario di Fonseca stava salendo con un altro contratto. Avevo imparato bene la mia lezione.”

In quello stesso anno, Ricardo lanciò il boogaloo in uno degli incontri storici più importanti della musica latina nella città di New York, successivamente registrato su tre dischi. Le “Descargas Live at the Villane Gate” avrebbero avuto come parte del repertorio una canzone chiamata “Descarga Boogaloo”, musicalmente diversa dal resto del repertorio che si eseguì quella notte. Le esibizioni canore di Cheo Feliciano e di Monguito el Unico, evidenziarono la nuova onda che stava investendo l’evoluzione musicale nella città di New York. L’era gloriosa del Palladium e delle Big Bands era ormai passata e il terreno era pronto per l’incursione di nuovi e piccoli gruppi (paragonati con i Big, queste orchestre erano composte al massimo da 8-9 musicisti) che avrebbero approfittato della congiuntura storica per togliere la fama alle orchestre che già da tempo dominavano le radio e le piste da ballo. Più tardi queste “vittime” avrebbero poi recuperato il terreno perduto, non per la forza della loro proposta musicale, ma per fattori completamente estranei all’arte e anche molto radicati nell’arroganza personale.

“Boogaloo Boogaloo, Yeah Yeah, Boogaloo!”

Il vortice che causò l’esplosione del boogaloo a New York nel 1966, portò l’anno seguente il lancio di un disco per la Alegre Records sulla cui retrocopertina si definiva Ricardo Ray come un precursore, affermazione che tuttora origina discussioni simili a quella per cui la salsa sarebbe semplicemente “musica cubana suonata fuori da Cuba”. Qualunque sia la verità cronologica di questa affermazione, ciò che è certo è che con l’album “Jala Jala y Boogaloo” e con brani come “Colombia’s Boogaloo” e “Mr. Trumpet Man” (LP vol II), Ricardo Ray e la sua orchestra si consacreranno tra i massimi esponenti del Latin Boogaloo a New York, oltre ad essere innovatori, talentuosi e sperimentatori. A parte ciò, lo sconfinamento di questa orchestra verso altri ritmi sarebbe stato un riflesso ogni volta diverso e dinamico di ciò in cui si stavano convertendo i repertori delle orchestre newyorchesi.
“Jala Jala” era stata una creazione del Gran Combo con Roberto Roena, inventore del medesimo e interprete del ritmo principale della campana, forse con l’intenzione di non rimanere indietro in un momento in cui i giovani fremevano per nuove creazioni e proposte musicali. Questo fenomeno di reciproca influenza tra le orchestre segnò uno dei periodi più originali nello sviluppo della musica latina, momento che avrebbe poi lasciato spazio alla tappa successiva, nota come Salsa.
Come prova precisa a sostegno dell’argomento, fatta eccezione pe rari casi, è sufficiente ascoltare le sonorità della maggior parte delle orchestre, prima e dopo il boom del Latin Boogaloo, per notare l’effetto a lungo termine che ebbe questo movimento nell’identità dei singoli gruppi.

Ma… qual è la novità? Palmieri che suona il boogaloo?

Nel 1968 era già chiaro che si erano sviluppate due chiare tendenze come reazione all’avvento del Latin Boogaloo:
La prima tendenza fu l’avversione alla quale era soggetto il boogaloo da parte di varie orchestre che non lo accoglievano nei propri repertori; esempio classico di ciò, l’atteggiamento di Willie Colón ed Héctor Lavoe nel brano “Eso Se Baila Así” dall’album “The Hustler”. Dopo una intro in cui sembra che abbraccino il Boogaloo, il famoso duo procede a rifiutarlo energicamente: Nell’anno 1968 era già noto che si erano sviluppate due chiare tendenze come reazione all’avvento del Latin Boogaloo. Innanzitutto l’antagonismo cui era soggetto il boogaloo da parte di varie orchestre che non lo accoglievano nei propri repertori. Esempio classico di ciò era l’atteggiamento di Willie Colón ed Héctor Lavoe nel brano “Eso Se Baila Así” nell’album The Hustler. Dopo un’ intro in cui sembra che abbraccino il Boogaloo, il famoso duo procede a rifiutarlo energicamente:

Coro: “Il Boogaloo non fa per me”

Lavoe: “Non fa per me il Boogaloo, ballalo tu!”

Coro: “Il Boogaloo non fa per me”

Lavoe: “Come? Tu lo vuoi ballare? Ma vattene, va’!”

Le orchestre che avevano adottato incondizionatamente il boogaloo sarebbero entrate in una querelle musicale con coloro che lo criticavano. E’ per questo che esistono brani come “Que Se Rían” dell’album “Jala Jala Y Boogaloo Vol.2” nel quale Ricardo Ray e Bobby Cruz affrontano la critica dei “tradizionalisti”:

Coro: “E lasciate che rida la gente, di Ritchie Ray”

Bobby Cruz: “Ridevano del Boogaloo, e ora guarda un po’!”

Coro: “E lasciate che rida la gente, di Ritchie Ray”

Ritchie e Bobby: “Il Boogaloo, è una cosa che non durerà, eh!”

Coro: “E lasciate che rida la gente, di Ritchie Ray”

Bobby: “Continua tu con il tuo montuno, che io ti lascio là!”

(Queste parole erano dirette a Joe Quijano e al suo brano “Lo Del Boogaloo” che abbiamo commentato prima)

Coro: “Il boogaloo, passerà

Io continuo con il mio montuno

Eh! Per divertirci!”

La seconda tendenza, sempre in reazione al boogaloo, era quella che alla fine accettava che il medesimo fosse diventato talmente di moda che avrebbe dovuto essere utilizzato nelle proprie composizioni. E’ così che vediamo come Eddie Palmieri, uno dei principali critici del Latin Boogaloo, alla fine lo adotti proprio in quello che sarà il disco di maggior successo del 1968: “Champagne”.
Eddie Palmieri, detto l’enfant terrible della musica latina, ci avrebbe proposto in questo disco non solo Cheo Feliciano (poco dopo il termine del suo sodalizio con Joe Cuba) e il maestro Cachao al basso, ma anche tre dei boogaloo piu sabrosi che sarebbero mai stati “cucinati” nella Grande Mela.
Con “Ay Que Rico”, “Cinturita” e “Palo De Mango” il maestro Palmieri ci dimostra che anche nelle situazioni un pò “scomode” il suo genio non aveva limiti nell’adottare le “mode” nel proprio repertorio. Di fatto questo disco fu nominato per tre premi nell’allora appena istituito “Latin Music Entertainment Award”, della rivista Latin New York Magazine, evento che si svolse alla Albert Hall dell’Hotel Americana a New York. Le orchestre che animarono lo spettacolo furono quelle di Tito Puente, Eddie Palmieri, Ricardo Ray e la Orquesta Broadway, show che finì con l’essere una grande frustrazione per chi stava entrando nell’onda del boogaloo.

Con cinque dei sette brani di Champagne frequentemente trasmessi alla radio newyorchese, la premiazione di Palmieri come miglior orchestra, miglior LP e miglior musicista sembrava quasi sicura. Eddie perse in tutte e tre le categorie, due di esse (miglior LP e migliore orchestra) a favore di Jala Jala y Boogaloo di Ricardo Ray (Salazar 2002).
La frustrazione fu tale che Palmieri non suonò più in pubblico il brano Lindo Yambú, per il quale venne sostituito al piano da Ira Herscher. Il grido palmieriano di insoddisfazione e di frustrazione in qualche modo si sentì nella successiva opera Justicia


Per quanto concerne Ricardo Ray, il successo del suo disco Jala Jala y Boogaloo Vol. 2 (dovuto in gran parte al successo di “Mr. Trumpet Man”) lo avrebbe portato ad adottare uno stile, per certi versi “rischioso”, ma che nel contempo gli permise di entrare in nuovi mercati, affermando anche il successo del boogaloo stesso.

La registrazione dell’album “Let’s Get Down To The Real Nitty Gritty” avrebbe trovato ancora più spazio nel mercato anglosassone con brani di taglio tradizionale nella direzione del soul, nella linea di Mongo Santamaria.
Questo LP della metà degli anni 60, contiene una canzone che influenzò molta gente di Los Angeles ed è “El Alma Original de México”, caratterizzato da versi tormentati e da cori accattivanti, e contiene tra le altre: “Ya Ya”, “I Want You To Be My Girl”, “Mony Mony”, “Shout” e “Soul Man”.

Il disco, in quanto tale, ebbe relativa diffusione e fama nell’ambiente musicale di NY, però riscosse soprattutto un gran successo dall’altra parte del mondo, specialmente il brano “Nitty Gritty” in paesi come Germania e Spagna.

Tra gli LP rimasti in ombra e strani abbiamo ad esempio quello registrato da Jack “Mr Bongo” Costanzo, nato a Chicago ma di discendenza siciliana.
A 14 anni imparò a ballare la musica latina. Dopo la seconda guerra mondiale il suo contingente fu scaricato ad Alameda, in California settentrionale, e da lì si innamorò di Los Angeles.

Il suo primo impiego professionale risale al Gennaio 1946 con l’orchestra di Bobby Ramos, poi lavorò con quella di Ernesto Lecuona, Xavier Cugat, Pérez Prado con Modesto Duran, e Desi Arnaz; ebbe come pianista il messicano-americano Eddie Cano, e suonò brani arrangiati anche da Tito Rodríguez.

Verso gli anni ’60 Jack si dirige verso le sonorità pop formando un gruppo con il cantante Gerry Woo.

Jack lavorò anche come attore partecipando ad una serie di film, tra i quali “Visitor To Small Planet” e “The Delicate Delinquent”, con il comico Jerry Lewis. Jack è anche considerato uno degli artefici del mambo e del cha cha cha americani.

Nell’ LP “Latin Percussion Con Soul” è solista e realizza il suo esordio nel genere Latin Soul, sulla scia di Willie Bobo. L’opera comprende due grandi composizioni di Héctor Rivera: “Recuerdo” e “Vengo Acabando”.

Bene, e che succede in America del Sud?



Il Sexteto Juventud del Venezuela produce i suoi primi due LP il 13 Giugno 1967 e il 24 Settembre dello stesso anno, entrambi ricchi di boogaloo. Cortesia del portale francese www.buscasalsa.com
Fine terza parte

Le radio del Sudamerica sono invase dal boogaloo, i piu importanti programmi di musica caraibica si lasciano letteralmente conquistare da questa nuova sonorità. In Venezuela, Colombia, Panama, Curaçao e Perù si iniziano ad ascoltare per radio Pete Rodríguez, Pete Rodríguez, Joe Cuba, Joe Bataan, Johnny Colón, Ralph Robles, Willie Rodríguez, Roy Román, Lebrón Brother, Frankie Nieves, Willie Bobo, Gilberto Cruz y su Sexteto, Héctor Rivera, Los Latin Souls, King Nando, Mario Allison, Joey Pastrana, Pijuan y su Sexteto etc.
Tuttavia è il Venezuela il paese che risponde con maggior forza, dando i natali a orchestre e sestetti come Federico y su Combo Latino, i Los Dementes di Ray Pérez con la voce di Perucho Torcat (nel 1967 incisero 6 LP, il primo dei quali è intitolato “Manifestacion en Salsa”), il Sexteto Juventud che poi si divise per dar luogo a Tabaco y sus Sextetos.

Carlos Quintana Tabaco con Arrollando

Federico emozionò l’ambiente con i suoi migliori successi di boogaloo e di salsa: “Federico Boogaloo”, “El Cobrador” e “Todo el Mundo”, del Sexteto Juventud (gruppo fondato il 13 Maggio del 1962, con il nome di Conjunto Rítmico Juventud e che solo successivamente diventerà il Sexteto Juventud. Questa formazione per buona parte del tempo fu formata da Olinto Medina come direttore e bassista, da Juan Medina alla chitarra, da Arturo López alla voce, da Elio Pacheco alla tumbadora, da Carlos Croquer alla batteria, da Isaias al bongó). I loro primi due primi LP “Guasancó” (1967) e “Más Guasancó” (1967) diedero molto spazio al Boogaloo, fra le canzoni più conosciute ricordiamo: Boogaloo, Descarga en Guasancó, Comand Boogaloo, Descarga a lo juventud; dell’LP del 68 “Guajira Sentimental”, “De Nuevo a Borinquen” e “Jala Jala Navideño” del 1970.

Dalla Repubblica Dominicana il maestro Primitivo Santos e dal Peru il maestro Pepe Hérnandez

Dalla Repubblica Dominicana ricordiamo il maestro Primitivo Santos e dal Perù il maestro Pepe Hérnandez; in Perù troviamo anche un bel boogaloo del già mitico Alfredito Linares intitolato “Yo traigo boogaloo”; nel contempo spopola la straordinaria canzone ibrida “Mambo rock”.
A fine anni 60, con influenze newyorchesi, si formò a Lima il Combo de Pepe Hérnandez, bassista e leader del suo gruppo. Questo gruppo era costituito da un sassofono tenore, dal flauto, dalla tromba, da una sezione ritmica latina e da un piano “furioso”. Essi incisero “Descarga En Menor”, “Yo Traigo El Boogaloo”, “Bailando Boogaloo”, “Burla”, “Cuídate” e “Crueldad”.
Successivamente si formò il gruppo di Pepe Moreno y su All Star Band.
Questa banda ebbe un gran successo con il bellissimo brano “Boogaloo Bola” (miscela di Twist, Cha Cha, Mambo, Boogaloo e qualcos’altro che dice in coro “Go Go En La Salsa”) e con “El Boogaloo de Cantinflitas” (stupendo brano, dedicato al noto cabarettista messicano, proposto fino allo sfinimento dalle varie radio colombiane come stacchetto per presentare i loro programmi comici).

In Colombia le città di Cali e Barranquilla si dichiarano capitali del boogaloo e in entrambe nascono i primi semi di quello che sarà l’ambiente salsero colombiano. A Barranquilla si crea La Protesta, ispirata all’orchestra di Tony Pabón.
Vi cantava un tale soprannominato Miche Boogaloo. Si formarono anche dei piccoli gruppi come quello dei Platinos con il cantante Jackie Carazo (animarono anche il Carnevale della Reina Perla Pompeyo).

Cali vide nascere molti gruppi di boogaloo: proprio dal Barrio Obrero veniva una grande ballerina di Pachanga e Boogaloo, la famosa – nonché celebrata in varie canzoni – “Amparo Arrebato“.

Nel Febbraio del 1968, l’orchestra di Ricardo Ray visita con il suo rinnovato stile musicale entrambe le città. Ed è a Cali, dove i ballerini impongono la velocità dei 45 giri agli album da 33, per adattarli al modo di ballare caleño.
Nel frattempo a Panama si affaccia sulla scena l’Orchestra di Bush Y Sus Magnificos di Francisco Bush Buckley che, assieme al giovane cantante Rubén Blades, interpreta i successi di Joe Cuba e di altri gruppi come il Conjunto Latino di Papi Arosemena, i Los Salvajes del Ritmo, i Los Silverstone, i Los Soul Fantastics, i Los Mozambiques, i Los Beachers, gli El Combo Impacto, tra i tanti.

Nella Repubblica Dominicana si afferma con molto swing il Maestro Primitivo Santos y su Combo, con un LP intitolato “Yo Vuelvo Pa’ Gozar”, una stupenda incisione degli anni 60. Le sue canzoni sono crude, decisamente in armonia con il nome del suo gruppo, i Primitivos. Di questo album riscosse molto successo, nelle programmazioni radiofoniche, il brano “Cuando Te Miro”, un boogaloo che è una versione latina di “Downtown Mad Mad Mad”, così come la descarga “El Robo Del Siglo”.

Sempre Dominicani furono Johnny Ventura e Bobby Quesada: Johnny Ventura incise l’LP “Boogaloo Esta En Algo”, all’interno del quale si distingue l’eccellente brano “Triángulo” firmato Bobby Capó, oltre a “Boogaloo Pa Gozar”, “Congo Blues”, “Ella Baila Boogaloo”. Il Maestro Bobby Quesada incise l’LP “Boogaloo en el Barrio” nel quale spiccano, tra le altre, “Bataola Boogaloo”, “Mi Barrio” e “Ritmo Moderno”.

Il gruppo brasiliano Boogaloo Combo col suo LP “Com Muito Ritmo” e il Maestro Dominicano Bobby Quesada col suo LP Boogaloo En el Barrio”.

Il Maestro Dominicano Bobby Quesada si afferma con l’LP “Boogaloo en el Barrio” mentre il gruppo brasiliano Boogaloo Combo, nel 1972, propone, per l’etichetta Epic, il sorprendente l’LP “Com Muito Ritmo”, album ad oggi considerato “strano e oscuro” (underground).
Il Boogaloo Combo si formò nel 1968 negli studi della CBS (l’attuale Sony Music) di Rio De Janeiro, ad opera del compositore argentino Roberto Livi e del Maestro Uruguagio Miguel Cedras, in seguito a una loro visita alla sede della Columbia Records a New York. Rimasero sorpresi e colpiti da ciò che videro nei barrios latini, dopo aver assistito ad alcuni concerti di Willie Bobo, Joe Bataan e Mongo Santamaria

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MONGO SANTAMARIA: Leah

JOE BATAAN: I wish you love

Il primo disco uscì nel 1968 per l’etichetta Epic, con il titolo “Boogaloo Combo”, cantato dallo stesso Roberto Livi, ma non ebbe il successo sperato, cosa che invece si realizzò nel 1972 quando incisero il sopracitato “Com Muito Ritmo”, caratterizzato da versioni strumentali di noti brani brasiliani dell’epoca e ispirato allo stile di Willie Bobo.

In effetti lo stile di questo gruppo era chiaramente influenzato dai gruppi della West Coast, tra i quali El Chicano, The War e i Malo (che tra l’altro incisero vari boogaloo a metà degli anni 60). Il disco ebbe una buona risposta da parte del pubblico, ma Roberto Livi fece ritorno in Argentina e Miguel Cedras andò negli Stati Uniti a fare il manager della divisione latina della Columbia.

Questi lavori son stati rieditati per l’etichetta Rhino Handmade.
In questo album erano inclusi i brani strumentali: “Pana”, “Café”, Suavecito”, “Oye Mama”, “I’m For Real”, “”Latin Boogaloo”, “Moving Away”, “Offerings”, “Latin Woman”, “Chévere”, “Close To Me”, e “Love Will Survive”. I Boogaloo Combo proposero, inoltre, i seguenti brani strumentali: “Way Back Home”, “Suavecito”, “Un Rayo De Sol”, “Put It Where You Want It”, and “Ebony Eyes”.

Un altro cantante brasiliano che si avventurò nell’onda del boogaloo fu Eduardo Araújo con il disco “A Onda Agora É Boogaloo”, del 1968. Recentemente stampato su CD, non si può definire un lavoro strattamente “latino”; la sonorità tende più al soul nordamericano ed infatti Eduardo era un musicista piu identificato con il Rock’n’Roll brasiliano dell’epoca.

La radice del boogaloo aveva dato i suoi frutti nel continente dove si parla spagnolo, pertanto è qui che assume un colore “creolo”.
Il Latin Boogaloo mantenne la sua egemonia negli anni della controcultura, periodo in cui accaddero importanti avvenimenti sociali come la Rivoluzione Cubana, l’embargo Usa imposto a Cuba, anni che videro affermarsi il sesso, l’uso delle droghe, il rock and roll, i figli dei fiori, il festival di Woodstock, gli hippies, le droghe psichedeliche, gli attivisti Abbie Hoffmann e Jerry Rubin (entrambi divennero famosi quando marciarono contro la guerra del Vietnam in occasione della convention del Partito Democratico a Chicago del 1968), il professor LSD Timothy Leary, le Pantere Nere, gli Young Lord Party, Angela Davis.

Furono anni di proteste e di tumulti: i Neri acclamavano il “Black Power”, durante le sommosse dei grandi ghetti di Los Angeles, della Georgia, di New York, di Chicago; le associazioni studentesche dell’Università di Kent in Pennsylvania e di Berkeley in California protestavano contro la leva obbligatoria.
Altri fatti che segnarono quel periodo furono gli assassinii di Bob Kennedy e di Martin Luther King, la liberazione sessuale, la morte di Che Guevara. Personaggi di rilievo furono Joan Baez, Bob Dylan, Jimmy Hendrix; i poeti Beatnicks diedero un aiuto alla gioventù ribelle grazie al loro humor e alla loro intelligenza… e ad un tratto arrivò la crisi del boogaloo… .“boogaloo, boogaloo. . .non guardare al tempo passato.”

Il Maestro Bobby Valentín con due LP “pieni di boogaloo” e il Maestro Willie Rodríguez”

A proposito della fine del Boogaloo, riprendiamo i concetti espressi da Fernando Rivera detto “King Nando” (famoso nel Barrio per i suoi Shing A Ling e che catturò l’attenzione nella primavera del 1967 con la sua composizione “Fortuna”) durante l’intervista rilasciata al signor Max Salazar (ndr: storico della musica latina) e riportiamo qui i passaggi piu significativi che ci aiuteranno a comprendere le ragioni della fine dell’epoca del boogaloo.

“Il Boogaloo non morì, fu ucciso dall’invidia dei vecchi direttori delle grandi orchestre, da alcuni organizzatori di serate e da un popolare dj radiofonico di musica latina” (probabilmente Polito Vega o Symphony Sid). “Noi eravamo una delle bande piu forti dell’era boogaloo e attiravamo molta gente ma non avevamo un ritorno economico proporzionato.
I direttori delle orchestre boogaloo furono costretti ad accettare contratti a pacchetto comprendenti l’esibizione in vari locali all’interno della stessa serata, cosa che causò subbuglio nella comunità dei musicisti; un’ora qui, un’altra là, e il tutto per pochi soldi. Quando gli impresari capirono che stavamo per organizzarci per rifiutare uniti questo tipo di contratti, i nostri dischi furono censurati dalle radio. Fu a questo punto che il Boogaloo cessò, e con esso la carriera di molti direttori di orchestre boogaloo”. “L’era del Boogaloo arrivò alla fine quando noi, i gruppi giovani, cercammo di ribellarci contro la forma di distribuzione dei contratti”
commentarono i Lebrón Brothers.

Il giornalista Carp David nel 1997, durante un’ intervista per la rivista online Descarga, chiese al maestro Johnny Pacheco “se la novità del Boogaloo e del Latin Soul lo avessero in qualche modo influenzato in termini musicali e in quel che egli faceva con la Fania”, e Pacheco rispose: “Per me fu un gran momento. Quando il boogaloo saturò il mercato, la gente poco a poco iniziò a stancarsi di ascoltare le solite band che suonavano lo stesso ritmo boogaloo. Il piano guidava più o meno la solita melodia. Per questo allora, la gente mi cercava, per il fatto che io continuavo a suonare i ritmi tipici per ballare. Eddie Palmieri si rifiutò di passare al boogaloo, e pure io. Può anche essere che abbiamo suonato qualcosa di Boogaloo. Così noi “cucinammo” e partecipammo a molti “spezzatini” più che altri, proprio perché noi rompemmo la monotonia del Boogaloo”.

L’eccitante mondo che generò il Boogaloo presto cominciò a svanire. Difatti, al consolidarsi a New York della “nuova cosa grande” della musica latina conosciuta con il nome di “Salsa”, il Boogaloo cominciò a eclissarsi, ed una grande quantità di giovani talentuosi furono bloccati dalla strategia commerciale della nuova organizzazione. Si aprirono le porte solo ad una minoranza: Cheo Feliciano, Eddie Palmieri, Bobby Quesada, Ray Barretto, Joe Bataan, Ralfi Pagán, Bobby Sanabria, Richie Ray tra gli altri…
Nel lavoro di Flores (1999) si nota che anche Willie Torres, cantante di Joe Cuba, si lamentava sull’annichilimento del boogaloo latino, annotando: “La maggiore responsabilità dell’eclissi del boogaloo, nel nome della salsa, fu della Fania Records che definì il suono degli anni sessanta”.

JOE CUBA

JOE CUBA: Mujer Divina

I primi due LP della Fania All Stars nel Red Garter portano nella propria cellula primaria il ritmo del Boogaloo.

I primi due LP della Fania All Stars nel Red Garter includono nella propria cellula primaria il ritmo del Boogaloo.
Ma il Boogaloo, lo Shing-A-Ling e l’Jala Jala non fecero parte del “pacchetto”, non si accettò la fusione dell’American Rhythm and Blues (R&B), che era davvero la musica originata per le strade e per i ghetti newyorchesi. Furono pochi i musicisti che crearono il boogaloo che vennero scelti dalla Fania All-Stars nella storica notte del Cheetah quando si girò il film “Our Latin Thing – Nuestra Cosa Latina”.

Quel che davvero bisogna ricordare e che non dobbiamo perdere di vista è che la stessa Fania All-Stars, nelle sue prime registrazioni, mise nella sua parte organica una cellula del Boogaloo, combinata a sua volta con il Son Cubano. Questo dato si evince analizzando i primi due LP della Fania: “Live at the Red Garter”, Vol.1 e “Live at the Red Garter”, Vol.2.
Nel primo si registrò il brano di Joe Bataan “Country Girl – City Man” che è appunto un boogaloo; addirittura nel secondo volume il lavoro fu maggiormente dedicato al boogaloo, i brani “Son Cuero Y Boogaloo”, “Red Garter Strut”, “Kikapoo Joy Juice” e “Richie’s Bag” sono tutti boogaloo.

Ad eccezione del maestro Johnny Pacheco (che non registrò boogaloo con le sue orchestre), tutti gli altri musicisti che parteciparono a questi due LP fanno parte del movimento del boogaloo, sia che si tratti dei capostipiti del genere sia che si tratti di quelli che parteciparono al suo ultimo periodo e citiamo tra tutti: Ray Barretto, Joe Bataan, Willie Colón, Héctor Lavoe, Larry Harlow, Monguito “el único”, Bobby Quesada, Louie Ramírez, Ralph Robles, Monguito Santamaria (il figlio di Mongo), Bobby Valentín (che incise diversi boogaloo), Tito Puente, Eddie Palmieri, Ricardo Ray e Jimmy Sabater.
Willie Colón e il suo cantante Héctor Lavoe (musicisti del barrio) registrarono diversi pezzi di boogaloo nell’LP “El Malo”. Lo scrittore Max Salazar sostiene che “entrambi i musicisti (Willie Colón e Héctor Lavoe) rappresentano il ponte tra il boogaloo e l’avvento della salsa”. E in effetti, è da quel momento che la Salsa suona brillante, di strada, cruda, “sporca” e vitale.

Monguito Santamaría (figlio di Mongo) y el Conjunto Malo.

Si dice che il Latin Boogaloo sia rinato in Spagna, in Inghilterra, in Germania, in Giappone e in Russia; lo hanno classificato “Latin Acid” o “Acid Jazz” e in molti altri modi. Vengono rimasterizzati in cd la musica di Héctor Rivera, di Mongo Santamaría, il vecchio materiale di Pucho Brown e di altri musicisti afroamericani, il ritmo Pata Pata (che influenzò il boogaloo) di Miriam Makeba, i New Swing Sextet, Joey Pastrana, Bobby Valentín, Ray Barretto, Joe Quijano, ecc.



New Swing Sextet

Sorprende anche che il gruppo colombiano La Sonora Carruseles abbia prodotto un CD – DVD con musica boogaloo per entrare nei mercati di Giappone ed Europa.
Il boogaloo ha insomma rappresentato un modo per penetrare il pop internazionale, la necessità di attraversare la linea divisoria tra due lingue, realizzando il “crossover” e introducendo i brani in entrambi i mercati. “Era la necessità di far funzionare le nostre creazioni in entrambe le lingue, di conquistare le liste del Billborad”, ci spiegò il maestro Joe Quijano.
Izzi Sanabria ha affermato che il Boogaloo fu “quel grande mezzo che noi giovani latini abbiamo avuto, per esplorare e attraversare le frontiere in termini musicali”.

I grandi: Gilberto Cruz y su Sexteto, El Terrible Frankie Nieves, Benito y su Sexteto, Azuquita y Kako y el Gran Willie Bobo. . . vaya que sabor mi pana. . .Boogaloo, Boogaloo pa’ goza!

Herencia Latina raccomanda i seguenti Boogalo

I 10 boogaloo di John Child (Cortesia di John Child scrittore di Descarga, speciale per Herencia Latina):

1. Yo Traigo Boogaloo. Alfredito Linares (Perú)
2. Federico Boogaloo. Federico y su Combo (Venezuela)
3. I Like It Like That. Pete Rodríguez
4. Ay que Rico. Eddie Palmieri
5. Boogaloo Blue. Johnny Colón
6. Lokie Lokie Ricardo Ray & Bobby Cruz
7. Subway Joe. Joe Bataan
8. Boogaloo Bola Pepe Moreno y su All Star Band (Perú)
9. Micaela. Pete Rodríguez
10. Tremendo Boogaloo. Mario Allison

I 20 Boogaloo di Herencia Latina:

1. At the Party. Héctor Rivera
2. In the Middle of the Nigth. el Terrible Frankie Nieves
3. Good Feeling. Joe Battan
4. Bang Bang (Push, Push). El Sexteto de Joe Cuba
5. La Banda. Latin Soul
6. Joey’s Thing. Joey Pastrana
7. Shing A Ling Boogaloo. Pijuan y su Sexteto
8. Shing A Ling Baby. Willie Bobo
9. Good Loving. Gilberto Cruz y su Sexteto
10. Playing a Cool. Héctor Rivera
11. Adelante. King Nando
12. Mr Trumpet Man. Richie Ray and Bobby Cruz
13. Boogaloo Cantinflitas.Pepe Moreno y su All Star Band(Perú)
14. Joe Quijano. Lo de Boogaloo
15. Coquero. The New Swing Sextet
16. El Cobrador Federico y su Combo
17. Pelao Ralfi Pagán.
18. Shotgun/Bling Man. Willie Bobo
19. ¿Tú querias Boogaloo? Toma Boogaloo. El Gran Combo de PR
20. Que se Ria la Gente. Richie Ray

Un pezzo importante da ascoltare:

21. Quasi – Boogaloo. Roy Eldring, Oscar Peterson y Dizzy Gillespie

Joe Bataan “Mr. Subway Joe”, El Combo Nacional, Ray Barretto (nell’onda del Latin Soul), Los Hermanos Lebrón, Ralfy Pagán (uno di coloro che hanno dato il via alla balada Latin Soul).

Ringraziamenti allo scrittore venezuelano Gerson Maldonado e all’amministratrice del portale www.buscasalsa.com, Chabelita.
Anche a Bernardo Viera, collaboratore di Herencia Latina in Brasile.

Note:

La canzone Pata Pata fu incisa da Miriam Makeba ma fu composta da Dorothy Mauska. Dorothy Mauska, cantante e compositrice sensazionale, è nata in Rodhesia (l’attuale Zimbawe), ma cominciò la sua carriera musicale in Sudafrica. Dorothy non ha mai goduto di molta fama internazionale, ma molte delle canzoni interpretate da Miriam Makeba sono composizioni sue. La canzone Pata Pata venne registrata da Makeba in Sudafrica a metà degli anni Cinquanta (nel 1956 circa) e poi tornò a registrarla negli Stati Uniti nel 1967, anno in cui si trasformò in un travolgente successo mondiale. Perfino il Gran Combo, con la voce di Andy Montañez, incise una versione di Pata Pata.

Il titolo si riferisce a un ballo molto popolare in Sudafrica. Il testo è semplice e il suo obiettivo è proprio quello di invitare la gente a ballare il Pata Pata, un ballo molto sensuale dove le coppie si toccano il corpo mentre ballano.
Miriam Makeba ha detto che si soprese per il successo mondiale di quella canzone perché, a suo avviso, aveva registrato altri brani dal contenuto molto più profondo. Fu proprio la canzone più leggera ad aprirle le porte della fama internazionale. Ne sono state registrate decine di versioni. La stessa Miriam Makeba ha inciso moltissime varianti una tra le quali con Ricky Martin. Recentemente la stessa compositrice Dorothy Masuka ha registrato una versione di Pata Pata.

Referenze:

Bobbs. Vernon. (1992). Salsiology: Afro-Cuban Music and the Evolution of Salsa in New York City (Contributions to the Study of Music and Dance) 30 de marzo de 1992. pg. 264-283. Greenwood Press. ISBN: 0313284687

Carp David. (1996). Profile: Pucho & His Latin Soul Brothers.

http://www.descarga.com/cgi-bin/db/archives/Profile4?tR2pY2YN;;154

Carp David. (1997). Interview: A Visit with Maestro Johnny Pacheco.

http://www.descarga.com/cgi-bin/db/archives/Interview2?tR2pY2YN;;142

Flores Juan. (1999). “Cha Cha with a Backbeat”: Songs and Stories of Latin Boogaloo. Recuperado de:

http://www.buscasalsa.com/imprimer.php3?id_article=6

Laffitte Louis (2002). The Sun of Latin Music. Part 1. Latin Beat Magazine, June/July, 2002

Mangual Rudy. (2003). Ray Barreto: Living the Beat of the Drum. Latin Beat Magazine. May. 2003.

Martínez. L. (2005). Periódico El Tiempo de Bogotá – Colombia . 31 de enero de 2005

Raissler. J.J. (1992). Review: Crossover Dreams/Boogaloo Blues.

Descarga

Rassler. J.J. (1992). by J.J. Rassler. Profile: The Lebron Brothers

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Rondón César (1979). Salsa Crónica de la Música del Caribe Urbano

Salazar Max (1997). Development of Latin music in New York City: lecture at UCLA – Max Salazar; University of California en Los Angeles. Recuperado de: Latin Beat Magazine, May, 1997

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Salazar Max (2003). Salsa Music Rivalries and Battles Part II. Latin Beat Magazine. Sept 2003

Salazar Max (2000). Remembering La Lupe. RecuperadoLatin Beat Magazine. May 2000.
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Salazar Max (2002). 1968 First Latin Music Entertainment Awards. RecuperadoLatin Beat Magazine. Oct. 2002

http://www.findarticles.com/p/articles/mi_m0FXV/is_8_12/ai_93700220

Ringraziamo Herencia Latina per averci autorizzati a pubblicare questo articolo in italiano.

Scompare Max Enrique Borges

Probabilmente il suo nome non dirà molto alla maggior parte dei salseri italiani, ma Max Enrique Borges, scomparso domenica scorsa nella sua casa di Falls Church in Virginia a 90 anni, era famoso per aver ridisegnato il Tropicana dell’Havana nel 1951, a soli 33 anni.

Con la sua morte scompare non solo l’uomo che ridisegnò l’icona dello splendore e della vita notturna cubana del ventesimo secolo, ma anche uno dei principali esponenti dell’architettura moderna a Cuba e nell’America Latina.

Oltre al famoso Cabaret Tropicana – la cui facciata e ambienti interni furono rifatti nel 1951 partendo da un’insieme di immagini, archi e formule matematiche invertite – Borges brillò anche per il disegno del Club Nautico, il restyling del Collegio La Salle e la costruzione, nel 1948, del Centro di Medicina e Chirurgia, nel Vedado, che gli fece vincere il Premio Nazionale di Architettura.

Nel 1959 andò in esilio negli Stati Uniti insieme alla sua famiglia. Visse in Florida e Pennilvania fino a quando si stabilì definitivamente a Washington D.C., dove realizzò numerosi edifici residenziali e commerciali in collaborazione con suo fratello Enrique e suo figlio Max, anch’essi famosi architetti.

Nel 2006 ricevette il Premio della Fondazione Cintas in omaggio alla sua carriera professionale.

L’architetto Nicolás Quintana, professore all’Università Internazionale della Florida, riconosce la forza creativa di Borges per la sua capacità di assorbire nei suoi progetti l’anima tropicale.

“Le sue opere aprirono nuovi orizzonti nell’architettura cubana, il suo lavoro è stato di una modernità totale e assoluta, il tutto senza perdere l’identità e l’essenza dell’Isola”, secondo quanto afferma lo stesso Quintana, il quale ha anche ricordato che Borges era un uomo disponibile e di buon carattere, sempre al servizio di tutti.

Fonti: varie internet